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Il cimitero ebraico quattrocentesco di Parma
di Ezio Barbieri
La presenza di ebrei a Parma e a Fidenza nel Quattrocento è ampiamente attesta dai documenti delle filze notarili conservate presso l’Archivio di Stato di Parma. Le potenzialità di queste attestazioni negli atti notarili è stata però fino ad oggi sfruttata soltanto in minima parte, e soprattutto ignorando quasi completamente il sec. XV [1].
Gli archivi notarili, peraltro ricchissimi per la città di Parma e per il borgo di Fidenza, non esauriscono però le potenzialità che la documentazione scritta può fornirci.
Prendiamo il caso delle comunità ebraiche della Lombardia e della valle del Po. Si tratta nel Quattrocento di piccoli gruppi di individui, vale a dire di pochissimi nuclei familiari, generalmente di profilo sociale, economico, professionale e culturale [2] molto superiore alla media: famiglie giunte nelle località dove i notai quattrocenteschi le registrano dopo numerose tappe di un lungo vagare, per l’esattezza o dalla Germania o dall’Italia centrale, in relazione ai luoghi di stanziamento. A Pavia e a Crema [3] si tratta di ebrei di origine tedesca; a Fidenza troviamo invece ebrei provenienti da Ancona o dall’alto Lazio.
L’orizzonte culturale e degli affari e la fitta trama di rapporti professionali e parentali di conseguenza travalica vistosamente i ristretti confini dei piccoli stati signorili del tardo medioevo e dei primi dell’età moderna.
Dobbiamo dunque individuare nuove, diverse fonti, ricavandone ulteriori dati da coordinare con quelli ottenuti dallo spoglio delle filze notarili [4]. Nel nostro caso specifico possiamo rivolgerci ai Registri delle missive nell’Archivio di Stato di Milano. Sono fonti che comunque, anche nella più riduttiva delle ipotesi, sono costituite da numerose decine di migliaia di carte riguardanti i più disparati negozi e argomenti. Da questa massa di carte si possono ricavare atti inediti certamente numerosi, ma che non superano le centinaia di unità: un bottino relativamente esiguo di “pezzi” ricavati dal numero complessivo di molte decine di migliaia, ma che comunque forniscono tasselli di un mosaico che può essere completato solamente con pazienti ricerche archivistiche ad amplissimo raggio.
Rivolgiamoci dunque alla prima di queste fonti alternative, appunto i Registri delle missive conservati nell’Archivio di Stato di Milano.
La serie comprende più di duecento registri cartacei, in anni recenti tutti restaurati in modo eccellente e forniti di una nuova rilegatura, generalmente in buono stato di conservazione e, tranne rari casi, completi, privi di perdite di carte: ogni registro in linea di massima comprende dalle duecento fino anche a più di trecento carte; ogni carta (recto e verso) contiene a sua volta almeno due documenti, ma spesso anche tre, quattro o cinque: raramente una missiva occupa più carte.
Si tratta di missive inviate dai funzionari ducali a nome degli Sforza a ufficiali locali di diverso rango all’interno del dominio oppure a sovrani o ad altri dignitari di potenze straniere, nella penisola ma anche a nord delle Alpi, nel vicino Oriente o nella costa dell’Africa settentrionale.
Si può facilmente capire da queste premesse la vastità del panorama geopolitico e lo sterminato spettro degli argomenti trattati: è l’ambiente ideale per incontrare e conoscere gli ebrei, i cosmopoliti per eccellenza del Quattrocento (e non solo).
Grazie a questi Registri possiamo sapere che talora la scomparsa di un personaggio fino ad allora molto presente nelle filze notarili non è dovuta alla sua morte, ma al fatto che si è trasferito anche molto lontano, col permesso del duca che anche lo raccomanda alle autorità del luogo di arrivo [5].
Sempre grazie a due missive contenute in questi Registri sappiamo del cimitero ebraico a Parma.
1492 luglio 25, Vigevano.
Prefecto negociis communitatis urbis Parme
Per una vostra de 20 del presente havemo inteso quello n’haveti <h- è corr. da n> risposto circa quello orto quale ce rechedevano li frati heremitani como cosa derelicta dali hebrei; et perché voi diceti che li <h>ebrei dicano quello loco essere dela sua università et farsine gran caso per haver lì deli soi defuncti <-c- è corr. da altra lettera> ve dicemo che l’intentione nostra è de non far iniuria ad alcuno et che lassamo la cosa neli termini soi.
Viglevani, 25 iulii 1492.
per Peregum
B<artholomeus> C<halcus>
1494 gennaio 19, Vigevano.
Locumtenenti Parme
Noy siamo continuamente inclinati ad accomodare li boni religiosi de quello possemo senza iniuria d’altri. Et però havendone facto novamente intendere el venerabile priore et frati del monasterio de Sancto Luca de quella nostra cità de Parma che al presente se trova abandonato et vacuo certo spacio de terra con una cassetta <con una cassetta è nell’interlineo, con segno d’inserzione> vicino al monastero suo nel qual altre volte li hebrei sepelivano li corpi deli morti suoy, lo qual spacio quantuncha li anni passati confortassemo quella nostra comunità ad relaxarglilo, tamen <t- è corr. da altra lettera principiata, come pare> epsi priore et frati non lo hebbero per essere anchora tenuto occupato da <segue li suoy depennato> alchuni <segue soi depennato>, secundo intesimo, hora che pare el sia abandonato et libero; per satisfare alla domanda et bisogno de dicti venerabili religiosi ve dicemo debiate havere ad voi li antiani dela dicta nostra comunità et quando senza iniuria d’altri dicto spatio se possa concedere ad dicti frati, li conforterete et exhortarete da parte nostra ad compiacergline, che ultra lo collocarano bene farano etiam ad noi cosa gratissima.
Date Viglevani, die 19 ianuarii 1494.
per Guspertum
B<artholomeus> C<halcus>
La sequenza delle due missive è significativa e si inserisce perfettamente nella mutazione dell’atteggiamento del duca nei confronti delle comunità ebraiche in tutto il dominio, peraltro sotto la sua diretta protezione, come si evince dalla continua iterazione del pregnante termine “nostra” riferito alla locale comunità degli ebrei. Da un già blando e interlocutorio diniego per non recare offesa agli ebrei nel luglio 1492, diniego che alcuni lustri prima sarebbe stato molto più categorico quando la protezione offerta agli ebrei era molto più coraggiosa, si passa un anno e mezzo più tardi a una imposizione neanche troppo velata di abbandonare il luogo dedicato alle sepolture. La situazione è la stessa: la comunità esiste ancora a Parma, ma ora si dà preferenza all’affermazione dei confinanti Eremitani che il luogo delle sepolture è abbandonato.
A Pavia la partenza degli ebrei, che abbandonano la città nel 1490 a motivo di una guerra finanziaria mossa loro da concorrenti cristiani (e non per una cacciata ufficiale, come si ripete senza basi documentarie [6]), proprio sul derelitto cimitero alcuni abitanti del luogo edificano nuove abitazioni [7]. Più di un secolo dopo sempre a Pavia il secondo cimitero, in un terreno recintato che prima era ad orto, al momento della vera e propria cacciata nel 1597 è affidato al vecchio proprietario, un ortolano, con l’obbligo di proseguire l’attività lasciando una piccola area di rispetto attorno ad ogni sepoltura, con la partecipazione dei vicini Minimi di san Francesco da Paola [8].
Qui la situazione è in qualche modo diversa. Nel 1492 e ancora nel 1494 gli ebrei sembrano ancora attestati nella città di Parma, seppure con una presenza rarefatta, mentre erano ormai totalmente assenti da Pavia: in Parma ridotti di numero al punto che gli Eremitani possono affermare, forse forzando la situazione, che il cimitero è abbandonato. Anche nella non lontana Fidenza già nel 1490 alcuni ebrei, particolarmente sensibili ai minimi mutamenti della situazione, progettano decisamente di abbandonare il borgo [9].
A questo punto uno spoglio sistematico dell’enorme documentazione notarile parmense coeva potrà dirci di quanti nuclei familiari fosse composta la comunità ebraica nei decenni precedenti e in questi anni cruciali, quando a motivo di una situazione di relativo abbandono si alimentano le mire sul terreno: non tanto sul terreno in sé, ma forse, come a Pavia nello stesso periodo, in segno di ostilità da parte di certi gruppi religiosi o anche civili.
Perché gli Eremitani, dopo un diniego, ritornano a insistere per ottenere il terreno. Una spiegazione sembra emergere indirettamente sempre dai Registri delle missive, proprio grazie al fatto che l’orizzonte è qui molto ampio e si può documentare la comparsa in aree geografiche ben lontane di nuove situazioni che fanno mutare l’atteggiamento del duca.
Nel maggio 1494 il Duca ha il problema urgente di numerosi casi di contagio nella città di Milano: Marco Vago degli Eremitani, che al momento si trovava a Bellinzona, viene convocato urgentemente in città in quanto “medendi peritus … eos presertim morbos egregie curare qui infra inguina homines maxime infestare solent”. L’urgenza è data dal fatto che “nonnulli Mediolani sint qui eo morbo vehementer laborant” e l’eremitano Marco Vago, che in simile frangente curerebbe esponendosi al forte rischio di contrarre il morbo, è assolutamente necessario in città “quandoquidem in illis sanandis non incisione, ut ceteri mederi consueverunt, sed medicaminibus tantum utatur”; questo concetto, esposto in tal modo al superiore dell’eremitano-medico, è ribadito anche nella missiva indirizzata al diretto interessato “Accepimus in eo medicine genere vos plurimum excellere quod his maxime morbis medetur qui homines infra inguina vehementer exagitare solent et illos non incisione ut ceteri medici sed medicaminibus curare” [10].
Con anticipo rispetto alla corrente letteratura medica, qui sembra che nel maggio 1494 il mal francese (come sembra emergere dai sintomi e, a questo punto, così chiamato inopportunamente) era già ben presente e diffuso a Milano e che l’urgenza di porvi rimedio giunga a forzare il duca Gian Galeazzo Maria Sforza, o meglio il suo “amantissimo barba” Ludovico Maria Sforza, a dimenticare tutti i propositi che da quasi mezzo secolo caratterizzavano l’atteggiamento della dinastia verso le piccole comunità ebraiche presenti nel dominio e soprattutto l’indirizzo generale di governo, quasi una filosofia politica: non fare ingiustizia a nessuno nel proprio dominio.
Ma anche la cartografia antica conservata nell’Archivio di Stato di Parma fornisce ulteriori utilissime indicazioni.
[1] Esiste a esempio una storia di Fidenza in cui qualche riga è dedicata alla presenza ebraica: A. Aimi - A. Copelli, Storia di Fidenza: dalle origini ai nostri giorni, Parma, Luigi Battei, 1982, p. 97: «A Borgo vivevano e commerciavano alcuni ebrei. Il 15 novembre 1480 per ordine del podestà i loro libri religiosi e 12 libri di conti fuirono chiusi in una cameretta per un controllo» con citazione della fonte a nota 137. Per la comunità ebraica di Parma e più precisamente in merito agli aspetti culturali della presenza ebraica soprattutto in secoli successivi al XV si veda utilmente anche Ebrei a Parma. Atti del Convegno, Parma 3 marzo 2003, a cura di L. Masotti, Parma, Comune di Parma – Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme, 2005, in particolare il saggio di Robert Bonfil, Ebrei a Parma: un passato da scoprire, pp. 7- 21; Hebraica Parmensia. Da molti luoghi e tempi: frammenti di memoria ritrovata, a cura di V. Bocchi, P. F. Fumagalli, L. Masotti, Parma, Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme, 2014. Ampie e approfondite sono le ricerche sugli ebrei mantovani, ferraresi, modenesi e bolognesi. Documenti di Fidenza sono noti anche attraverso S. Simonsohn, The Jews in the Duchy of Milan, Jerusalem 1982-1986, docc. 639, 893, 1104, 1122, 1141, 1205, 1256, 1267,1275, 1280, 1314, 1391, 1395, 1494, 1827, 1829, 2035, 2043, 2049, 2058, 2062, 2065, 2069, 2113, 2668, 2571, 2575, 2578. Alcuni lavori hanno trattato la presenza di ebrei nella zona di Parma: E. Loevinson, Gli ebrei a Parma, Piacenza e Guastalla, in “Rivista Mensile di Israel”, VII (1932-33), pp. 351-358. A. Orvieto, Ebrei nel ducato di Parma nel secolo XV, in “Il Vessillo israelitico”, 43/X, pp. 323-327; 43/XI, 357-360. V. Ravà, Gli israeliti nelle province parmensi, in “L'educatore israelita”, 1870, pp. 169-180. S. Simonsohn, Alcune note sugli ebrei a Parma nel '400, in Studi sull'ebraismo italiano in memoria di Cecil Roth, Roma 1974, pp. 227-260. S. Simonsohn, The Apostolic See and the Jews, 8 voll., Toronto 1988-1991, doc. 2668. Ringrazio la dott.ssa Mafalda Toniazzi per le preziose indicazioni bibliografiche.
[2] Si veda il caso di David de Finciis a cui vengono temporaneamente sequestrati circa ottanta libri il 10 novembre 1480 nella sua casa di Fontanellato. David de Finciis leggeva testi di Aristotele, trattati di medicina tra cui uno in arabo, oltre al Talmud e a opere di astronomia.
[3] Per quanto riguarda Crema si possono consultare le seguenti opere a stampa (sempre grazie alle cortesi indicazioni della dott.ssa Mafalda Toniazzi): G. Albini Mantovani, La comunità ebraica in Crema nel sec. XV e le origini del Monte di Pietà, in Nuova Rivista Storica LIX (1975), pp. 378-406. V. Colorni, I da Spira avi dei tipografi Soncino e la loro attività nel Veneto e in Lombardia durante il secolo XV, in I tipografi ebrei a Soncino 1483-1490, a cura di G. Tamani, Soncino 1989, pp. 58-108, e in particolare p. 80, nota 77. S. Simonsohn, The Jews in the Duchy of Milan, 4 voll., Jerusalem 1982-1986, docc. 42, 48, 68, 1618, 1623, 2078, 2097, 2157, 2242, 2250, 2275, 2278.
[4] Non è escluso che menzioni del cimitero (quelle che qui interessano più direttamente) possano essere ricavate anche da qualche documento delle filze notarili parmensi. Il lavoro è già stato iniziato ed è giunto a buon punto. Se vogliamo fare un esempio di quanto può emergere facendo riferimento alle per ora più avanzate indagini sul notarile pavese del Quattrocento, un inedito cimitero ebraico è attestato a Vigevano nel documento del 1482 gennaio 31, Pavia (): Mosè de Galis ebreo, del fu Dataro, abitante de presenti nella terra di Vigevano, vende a Salomone de Placentia ebreo, del fu Mosè, che agisce a nome anche di Madio ebreo, genero di Salomone e figlio del fu Zaccaria, un banchum perpetuum fenoris e il diritto di tenerlo e di esercitare il prestito nella terra e nel territorio di Vigevano (con i relativi privilegia ducalia concessi a Mosè); nella vendita è compreso il terreno muratum cum suis muris iacens extra portam strate Viglevani aliax acquisitum a opera del fu Dataro o dallo stesso Mosè, confinante con la strada da una parte, con lo stesso Mosè da due altre e con dominus Baptista de Collis dalla quarta parte, acquistato con più atti dei notai Bertramolo de Previde e Contardo de Previde entrambi di Vigevano, terreno da utilizzare pro sepultura cadaverum ebreorum suorum. Non sappiamo comunque se il terreno sia poi stato effettivamente utilizzato per inumazioni o se la piccolissima comunità si sia trasferita altrove prima di registrare la morte di qualcuno dei suoi componenti.
[5] Si veda a esempio la missiva indirizzata alla duchessa di Savoia, in favore di Grassino ebreo, figlio del ben noto Manno, abitante fino ad allora a Pavia (e ampiamente attestato nelle filze notarili pavesi) che intende per i suoi affari trasferirsi a risiedere a Nizza in Provenza. Un singolo documento di procura del 1482, Pavia, mostra che un altro figlio di Manno, Iacob, si è trasferito a Tonco, in diocesi di Casale (a una decina di chilometri a nord di Asti ma nel territorio del marchese di Monferrato): e questo evidentemente per l’importanza all’epoca della città di Asti nel panorama della finanza internazionale. Il figlio Aberlino, abiatico di Manno (che richiama nel nome Aberlino quello del bisnonno giunto nell’Italia settentrionale (con prima tappa a Vicenza) dalla Germania si reca a Pavia a nome del padre Iacob per chiudere alcune partite. Non abbiamo documentazione di quest’epoca nell’Archivio di Stato di Alessandria, in cui è confluita la documentazione notarile tardo medievale del territorio di Casale: il notaio che redige la procura in Tonco è Gaspare de Monte, di cui non si trovano filze superstiti, almeno per ora: tre notai dello stesso nome sono però attivi nel sec. XVI sempre a Tonco, ma dalla loro abbondante documentazione non risultano ulteriori presenze di ebrei, almeno nella prima metà del sec. XVI: si veda la tesi di laurea triennale di A. Garusi, Tonco nel Monferrato attraverso le carte d'archivio del primo Cinquecento, tesi di laurea, relatore E. Barbieri, Università di Pavia, Dipartimento di Studi umanistici, a. acc. 2015-2016). Lo stesso Manno ha un fratello, Mosè, che risiede a Camino nella marca trevigiana: con Mosè vive Rachele, detta anche madona Richa, moglie di Aberlino e madre di Manno e Mosè, che risulta, a detta dei figli ed eredi, morta a Camino, ma che abitualmente si recava a Mestre per trattare affari: dove possiamo ipotizzare che i membri di questa famiglia nell’arco di quattro generazioni siano stati sepolti? Questo è solo un esempio delle potenzialità offerte dall’incrocio dei dati.
[6] La vulgata risulta ripresa e riaffermata anche in anni recenti nei volumi della Storia di Pavia, in particolare da R. Segre, Gli Ebrei a Pavia, in Storia di Pavia, vol. III, Dal libero comune alla fine del principato indipendente, 1024-1535. Tomo I: Società, istituzioni, religione nelle età del Comune e della Signoria, a cura della Banca del Monte di Lombardia, 1992, pp. 433-51, in particolare p. 451.
[7] Proprio in questo cimitero aveva trovato sepoltura nel 1480 il rabbino Yoseph Colon, giunto a Pavia un decennio prima e insediatosi in un gruppo di case dove da molti lustri avevano fissato la loro residenza due nuclei familiari di finanzieri ebrei. Finora il talmudista Yoseph Colon era noto attraverso studi condotti a Londra e Harvard: ora invece alcuni documenti da me individuati ne attestato la reale presenza a Pavia e i legami con altri personaggi ebrei nella medesima città. Cf. E. Barbieri, Le ragioni di una ricerca e di una mostra, in Fideles servitores nostri ebrei in civitate Papie. Documenti e riflessioni sugli ebrei a Pavia fino all’espulsione, a cura di E. Barbieri, Pavia 2011, pp. 9-15, e i riferimenti bibliografici citati nel volume.
[8] Cf. F. Romanoni, Il mito del ghetto di Pavia e l’insediamento diffuso: abitazioni, sinagoghe, cimiteri, in Fideles servitores nostri ebrei in civitate Papie, pp. 77-93, e in particolare La tormentata storia dei cimiteri ebraici di Pavia, pp. 77-86.
[9] Salamone ebreo de Puntremulo figlio di Simone, procuratore di Ventura ebreo del fu Abraam de Perusis, come da procura del notaio di Urbino Ludovico <condam magistri Soldi orefice> alla presenza di Angelo ebreo del fu Datilo de Coregio gli comunica che già da alcuni giorni sono stati chiusi i conti traffigi banchi di Ventura ebreo in Fidenza tra Salamone da una parte e Angelo gestore degli affari del banco, dall’altra, e che l’attività del banco era cessata e gli comunica che Angelo non può sperare in ulteriore mercede per il proprio lavoro di amministratore. Angelo del fu Datilo de Coregio si dichiara non consenziente e nega che Salamone sia procuratore di Ventura e pretende inoltre di aver ulteriore salario per l’amministrazione di 3 anni, come da accordi e da promesse di Ventura. È un chiaro indizio dell’abbandono della piazza da parte del socio non residente e maggioritario del banco. Sembra che dall’anno successivo gli ebrei di Fidenza i quali, contrariamente a quanto accadeva a Pavia, potevano contare su una residenza più stabile in quanto avevano la possibilità di acquistare case, non soltanto di prenderle in affitto triennale, ritengano chiusta l’esperienza nel borgo. La dott.ssa Mafalda Toniazzi mi fa notare una possibile interessante pista: Angelo ebreo del fu Datilo de Coregio, potrebbe (ma è tutto ancora da dimostrare) far parte della famiglia da Correggio, con buona probabilità proveniente da Perugia e attestata a Correggio dagli anni ’40 del Quattrocento, i cui esponenti Emanuele ed Abramo del fu Dattilo da Correggio (forse fratelli di Angelo) risultano gestori nel 1490 del banco della Vacca di Firenze e di quello di San Giovanni Valdarno, dal 1490 al 1492 del banco di Borgo San Lorenzo (località nella quale Abramo del fu Dattilo era già attestato nel 1488), nel 1491 dei banchi di Modigliana e di Villafranca Veronese. I da Correggio erano coinvolti in tutti questi banchi perché uomini di fiducia, per così dire, dei da Camerino, che conoscevano almeno dagli anni ’50 del secolo.
Ezio Barbieri
Il contesto documentario latino per comprendere i “cimeli” in arabo (sec. XV-XVI) dell’Archivio di Stato di Milano
Il fondo “cimeli” dell’Archivio di Stato di Milano [1] comprende documenti di differente natura, prevenienza e attendibilità: i vari pezzi sono stati scelti proprio per il fatto di essere anomali rispetto alla rimanente documentazione sostanzialmente tutta in caratteri latini. Si tratta in sostanza di un fondo che è stato allestito con una prospettiva tipica dell’Ottocento e ora rifiutata in toto: l’ottica di isolare e conseguentemente di “ammirare” il singolo documento estratto dalla serie di appartenenza ed esposto all’acritica contemplazione totalmente avulsa da ogni trantativo di comprendere. La mancanza di un sicuro contesto rende infatti impossibile individuare in modo approfondito il valore da attribuire ai caratteri intrinseci ed estrinseci del cimelio e diminuisce fin quasi ad azzerare la nostra capacità di ricavarne concrete notizie storiche. Nel caso poi delle quattro missive in arabo anche la grafia e la lingua costituiscono un ulteriore diaframma che ha fatto sì che tali documenti rimanessero dimenticati nel limbo della ricerca.
Questi quattro più antichi “cimeli” del fondo fondo sono vergati, come gia detto, in caratteri arabi e redatti in lingua araba e sono missive ufficiali, lettere di cancelleria: due datate agli ultimi decenni del sec. XV e due ai primi lustri del secolo successivo. Il mittente delle prime due è il sultano di Caraman nella penisola anatolica, a capo di uno Stato destinato a soccombere di lì a pochissimi anni di fronte all’attacco degli ottomani di Maonetto II. La drammatica situazione creata da questo attacco lo induce a cercare aiuto rivolgendosi al duca di Milano. Le rimanenti due sono missive del re [2] di Tunisi al duca di Mantova.
Quello che noi, occidentali confinati nella conoscenza dei caratteri latini e greci e comunque totalmente ignari della lingua araba, conoscevamo fino a tutt’oggi di queste quattro missive si limitava alla data approssimativa e a un breve riassunto; il tutto grazie al “prof. Eugenio Griffini bibliotecario di re Fuad d’Egitto” che dedicò le sue attenzioni a questi documenti quasi un secolo fa, per l’esattezza nel 1925 [3].
La lettura, la trascrizione completa e l’interpretazione di questi quattro cimeli, oltre che di un quinto conservato nell’Archivio di Stato di Parma [4], è oggetto di una tesi di laurea condotta sotto la mia direzione da uno studente saudita [5]. La parte che qui sviluppo, e che non sarà trattata nella tesi ma ne costuituirà un essenziale elemento di confronto, è quella del contesto documentario in alfabeto latino, conservato principalmente nell’Archivio di Stato di Milano, che funge da inquadramento delle missive in arabo e che favorisce la loro comprensione [6]. La tesi di laurea è dunque l’esperimento del confronto tra due culture e dell’osmosi di conoscenze in un periodo che vide un incontro-scontro tra gli stati italiani, l’Ungheria e i potentati balcanici da una parte e Maometto II dall’altra.
Cominciamo dai due cimeli più antichi, riportando fedelente la data e il regesto di Eugenio Griffini.
1
1472 (a. 877 dell’Egira)
Lettera del Sultano di Caramania al duca di Milano Galeazzo Maria Sforza per informarlo di sfortunati avvenimenti e chiedergli aiuto.
In arabo.
2
1474 (a. 879 dell’Egira)
Lettera del Sultano di Caramania al duca di Milano Galeazzo Maria Sforza per informarlo dei viaggi dei propri figli in Persia e in India per scopo militari e politici, dei recenti successi sugli Ottomani e di preparativi militari.
In arabo.
Cominciamo a considerare la data.
L’anno 879 dell’Egira corrisponde, con un’operazione di calcolo alquanto approssimativa, al 1472 dell’era cristiana: ma nel 1925, e oltretutto con la finalità di fornire solamente un sommario regesto, questo elemento costituiva tutto sommato la migliore delle indicazioni possibili. A Eugenio Griffini, bibliotecario e non esperto di documenti arabi vecchi di secoli, mancavano gli strumenti tecnici per fissare una data più precisa e soprattutti i riferimenti archivistici per dare contenuto a queste generiche notizie: lette così queste due lettere sembrano due missive con cui un despota di uno Stato che si estendeva nella parte meridionale della penisona anatolica intrattiene più o meno piacevolmente il proprio corrispondente informandolo sulle ultime novità occorse al proprio Stato e alla propria famiglia.
Due sono le vie con cui avvicinarsi a queste due lettere: la prima è vedere quanto possiamo ricavare dalla documentazione prodotta o ricevuta dal corrispondente del sultano, il duca Galeazzo Maria Sforza figlio di Francesco Sforza; l’altra è considerare il linguaggio della comunicazione in queste missive ufficiali.
Partiamo brevemente da quest’ultimo aspetto.
La genericità del regesto di Eugenio Griffini è anche dovuta, oltre che dalla sintesi operata, anche dal tono allusivo di queste missive. Questo livello di comunicazione è ben noto anche sul versante sforzesco, di chi cioè ha ricevuto in momenti diversi le due missive. Non tutte le questioni possono essere espresse con chiarezza cartesiana nero su bianco: la riservatezza della diplomazia esige che argomenti particolarmente delicati siano affidati all’esposizione verbale dell’ambasciatore, dell’orator per usare il termine utilizzato all’epoca, o a quelle del latore della missiva, necessariamente un personaggio di assoluta fiducia del principe.
Se scorriamo i Registri delle missive di epoca sforzesco nell’Archivio di Stato di Milano [7] possiamo trovare esempi di reticenza: prendiamo quella del 10 maggio 1464 di Francesco Sforza datata da Milano per Enrico re di Castiglia e Leon e sottoscritta dal segretario ducale Cicco Simonetta [8]:
Domino Henrico Castelle et Legionis regi
Non opus, serenissime princeps et domine excellentissime, quod pro collatis in serenissimum regem Sicilie per nos subsidiis maiestas vestra gratias referret, quippe qui dum prefato regi subsidia et favores nostros tulimus ut se ab hostibus inofensum redderet, nosmet ipsos tutari visi fuimus. Nam imprimis ad ea movit in regem ipsum prestanda subsidia quod eius maiestati sumus stricto societatis nexu colligati, dehinc indissolubili affinitatis copula astricti quorum causa non ad ea tantum que hactenus pro sua maiestate fecimus, sed ad conta in posterum possibilia prefate maiestati per nos deberi in re optimo <così> censuimus. Fuere tamen vestre maiestatis littere nobis pergrate et relatus Valgarcie abdat eiusdem secretarii nobis periocondi quem ideo leti vidimus quod orationem ad nos vestre maiestatis nomine habitam non minus discrete et sapienter quam ornate absolvit. Habemus idcircho prefate maiestati vestre pro sua humanitate huiusmodi gratias ingentes, prout quemadmodum ipsi Aliralgacie <così> super hi<i>s mentem nostram latius ostendimus cui prefata maiestas vestra ab eo ipso intelligere poterit, cuius relatibus dignetur fidei plenitudinem impertiri, ad cuius beneplacita nos semper paratos ex corde offerimus.
Date Mediolani, die .x. maii 1464.
C<ichus>
Simile tono allusivo compare nella lettera del 30 aprile 1474 di Gial Galeazzo Sforza figlio di Francesco, datata da Milano e indirizzata ai propri rappresentanti ufficiali in Corsica [9]:
Aloysio de Calabria officiali in Corsica
Fedriano da Corte è stato qui da noy et voluntiere havemo inteso quanto ello ve ha dicto de le cose de quella nostra insula el quale se ne retorna perché presto mandaremo là uno bene instructo de la mente nostra per provedere ad tutto quello che bisogna; interim non manchare de fare el debito del offitio tuo.
Date Mediolani, die ultimo aprilis 1474.
In simili forma:
Iohanni Matheo de Villanis castellano Bastite;
Antonio de Ripa castellano Turtorum Corsice;
Palmisano castellano c(astri) Florentini Corsice.
A operazioni segrete alludono le due del 14 ottobre 1474 di Gian Galeazzo Sforza datata da Monza per il proprio corriere a cavallo Francesco da Trezzo e inviata in copia ad altri corrieri a cavallo, ugualmente sottoscritte da Cicco Simonetta [10] in cui il corriere si muove in incognito senza gli oggetti che contraddistinguono la sua funzione:
Francisco de Tritio caballario
Ultra la commissione ti havemo dato volemo et così ti commandamo che quando tu haveray seguitato quello amico tanto ch’el sia a Bologna overo come el sia uscito di Bologna tu venghi subito inanzi de lui talmente che lo avanzi de uno giorno et ti ritrovi con Francesco da Petrasancta nostro famiglio cavalcante quale sarà ad Sancto Hilario di Parmesana su la strata romea informato apieno de la mente nostra circa ciò et diray a luy quanto haveray operato, facendo deinde tutto quello ch’esso ti dirà, et studia di saperli diri quando colluy verisimilmente haverà passare per la dicta via de Sancto Hilario. Poteray anchora dimandare in quella hostaria sive cosa <così> nova de li Torelli quale è sula strata drita di là de Sancto Hilario vicina a l’Enza che forse attroverai lì il dicto Francesco.
Date Modoetie, die .xiiii°. octubris 1472.
Ci<chus>
In consimili forma:
caballariis ad postam Logliani
Caballariis in Marzaglia
Per quanto haveti cara la gratia nostra vogliati stare su l’aviso et con gli ochi attenti s’el passarà per lì Francesco da Trezo nostro cavallaro; et passando lì, daretili questa nostra alligata; ma habiti grande advertentia perché forsi el seria senza cornetto et senza scudaciolo, facendo questo più secretamente sia possibile.
Date Modoetie, die .xiiii°. octubris 1472.
Ci<chus>
In consimili forma:
caballariis ad postam Logliani
Nel margine sinistro: pro Francisco de Tritio caballario
Queste precisazioni sono necessarie per capire in che veste fosse il messo che portò la prima delle due lettere del sultano di Caraman.
Come e quando era giunta la prima delle due lettere a Gain galeazzo Sforza? E chi l’aveva portata?
Nella primavera del 1471 e anche nei mesi precedenti gli stati italiani che avevano interessi in Oriente reclutano truppe e le inviano nei propri territori. Il Banco di San Giorgio a esempio ha anche una sgradevole esperienza ingaggiando un conestabile e la sua compagnia per inviarlo alla difesa di Caffa sul mar Nero; costui (dal significativo soprannome di Butiglionus/Botiglione che avrebbe dovuto alienargli ogni fiducia da parte dei genovesi) e i suoi accoliti prima incassano più di settecento ducati d’oro e subito dopo disertano e tornano a casa nel marchesato di Saluzzo [11]. L’Ordine di Rodi richiama in servizio nell’isola i cavalieri a capo delle precettorie, tra cui quelli dello Stato di Milano. Il duca per alcuni di questi cavalieri chiede l’esonero dal servizio per svariati motivi, che spaziano dalla momentanea mancanza di denaro per provvedere al viaggio a causa delle cattive condizioni economiche della precettoria a cui erano preposti fino al fatto che ricoprivano posizioni di comando in strategiche piazzeforti del ducato, come è il caso di Achille de Stampis comandante della cittadella di Alessandria [12]. Per uno solo di essi, Cristoforo Visconti, precettore di Inverno sulla strada tra Pavia e Lodi, al contrario degli altri il duca in una missiva commendatizia del 2 marzo 1471 datata da Milano e sottoscritta da Cicco Simonetta spende parole che alludono a una speciale protezione accordatagli [13] e chiede al maestro dell’ospedale di Rodi di trattarlo così da fargli capire che la raccomandazione ducale ha avuto pieno effetto. Mettiamoci nei panni di Spineta magister dell’ospedale di Rodi: avrà capito che il potente alleato italiano, a cui spesso l’Ordine chiedeva soccorso [14], inviava Cristoforo Visconti come proprio rappresentante-osservatore con ampia liberta di azione e come, diremmo ora, agente segreto per tenere contatti con tutti i protagonisti della scena orientale; in parole povere di lasciargli liberta di azione, di muoversi anche senza le insegne e di avventurarsi anche in territorio nemico o comunque fuori dalle fortezze sull’isola che i cavalieri dovevano difendere. In sostanza, a livello ben diverso, un comportamento come quello del corriere a cavallo Francesco da Trezzo, o come, già ai tempi di Francesco Sforza, era una prassi attestata [15].
Domino Spinete magistro hospitalis conventus Rhodi
Eius est fidei et devotionis erga nos et Statum nostrum venerabilis atque insignis miles Ierosolimitanus dominus Christoforus Vicecomes preceptor preceptorie Inverni laudensis eiusque vite et morum integritatis ut illum merito inter carissimos habeamus eique tanquam benemerito et egregiis virtutibus predicto sempre fovere studeamus. Cum autem ille ex ordine religionis vestre a reverendissima paternitate vestra evocatus pro tuenda fide christiana et insula ista Rhodi ab imminentia <così> a Turcis periculo ad eandem paternitatem vestram sese conferre instituerit in omnibus eidem promptissimo animo obsecuturus, non incongruum arbitrati sumus eundem dominum Christoforum predicte reverende paternitati vestre commendatum efficere et ita quo maiore possumus studio commendamus, rogantes illam ut nostri quoque intuitu eundem ita suscipere et in omnibus tractare velit quod intelligat commendationes nostras apud eandem v<u>lgares non fuisse.
Date Mediolani, die .ii. martii 1471.
Per Cambiagum
Ci<chus>
Sono passati circa undici mesi. Cristoforo Visconti è tornato da duca (e alla precettoria di Inverno). Sicuramente ha portato con sé due lettere: una di Carlotta di Lusignano regina di Cipro e una del gran maestro di Rodi. Una ulteriore lettera della regina di Cipro viene portata poi dal commendatore di Pavia Tommaso Nori poche settimane più tardi. Gian Galeazzo il 18 febbraio 1472 informa Sisto IV di quanto ha narrato, a conferma delle voci degli altri cavalieri di ritorno in patria [16] e il giorno successivo dà riscontro al gran maestro di Rodi [17] e alla regina di Cipro [18] di aver ricevuto i loro appelli, di cui il giorno prima aveva dato conto a Sisto IV.
Sixto pontifici maximo
Licet mihi persuasum sit beatitudinem vestram pro summa eius sapientia proque debito in gregem christianum officio suo ea omnia circunspicere atque providere qu? christian? religionis honorem salutemque respiciunt et ea præsertim quæ Turcorum invasionibus periculisque magis exposita esse videntur, tamen ut mihi ipsi non minus quam rogatibus reverendissimi in Christo patris domini magistri hospitalis Ierusalem et conventus Rhodi satisfaciam hæc pauca sanctitati vestre subiicere || non incongruum existimavi, sane ex quampluribus Ordinis Iherolimitani militibus ex Rhodo in hanc provinciam redeuntibus et potissimum ex insigni milite domino Christoforo Vicecomite preceptore Inverni, qui aliquot menses ibi remoratus est, intellexi rem Rhodiam et totius eius Religionis in summo versari discrimine, et quamvis omnia pro virili efficiunt quo magis immanissimi hostis illius Turci excidium eius urbis quottidie minitantis conatibus apparatibusque resistant, unam tamen vel solam in sanctitatis vestre præsidio spem collocarunt eiusque fidem et opem et Christianorum pariter potentatuum implorant. Quanti autem momenti Rhodus et insula illa sit, quantum saluti christiane religionis conferat atque importet beatitudo vestra ante oculos habet; itaque licet preces meas superfluas quodammodo existimem ne tam in communi causa et amicorum rogatibus deesse videar, ipsum reverendissimum dominum magistrum et conventum civitatemque Rhodiam et universam Religionem Iherosolimitanam pro maioribus efficacioribusque possum pr?cibus sanctitati vestræ humillime commendo.
Date Papie, die .xviii. februarii 1472.
Per Cambiagum
Magistri <così> Rhodi <-i è corr. su altra lettera>.
Reversus ad nos nuper egregius atque insignis miles Ordinis vestri dominus Christoforus Vicecomes preceptor Inverni litteras nobis vestras reddit quas libenter legimus || et ex eius pariter et aliis que vestro nomine nobis rettulit abunde intelleximus quo in statu sint res vestre et totius Religionis, que omnia nobis gratissima fuerunt quippe qui ab ineunte ætate nostra istam Religionem, qu? probatissimis clarissimisque viris pr?dita est, singulari quadam devotione et studio prosecuti sumus, et propterea ad maximum pontificem eas libentissime dedimus litteras quas idem dominus Christophorus vestro nomine a nobis petiit in favorem commendationemque Religionis vestræ quemadmodum ex suis litteris uberius intelligetis. Accepimus præterea ipsum dominum Christophorum per nos deputatum designatumque fuisse in hac nostra dicione pro vestri communi thesauro receptorem, quod et probamus et gratissimum habuimus tale munus nec magis fido nec probatiori committi potuisset; itaque eidem ad id exercendum omnes honestos impendemus favores ut reverendas paternitates vestras hortemur quod tam sua sponte facturas eas nobis persuademus et qui admodum ceperunt urbem illam et universam Religionem contra communes christiane religionis hostes fortites atque intrepide tueantur; siquid autem a nobis prestari potest quod honori pariter et commodo vestro et totius Religionis cessurum sit, id libentissimo promptissimoque animo offerimus.
Date Papie, die .xviiii°. februarii 1472.
Per Cambiagum
Ci<chus>
Regine Cypri
Havemo recevuto due littere dela maestà vestra dati ad Rhodi in questi mesi de octobre et decembere proxime passate ad nuy presentate l’una per domino Christophoro Vesconte commandatore de Inverno et l’altra per domino frate Thomaso Nori commandatore de Pavia, et ultra ciò inteso per le relatione loro de la bona sanità de la maiestà vestra et quanto quella li commisi in la partita loro da Rhodo che ne dovessero dire per parte sua: de tutto havimo recevuto singular piacere et contentamento, maxime che la serenità vestra se ritrovi in bono essere perché ogni vestro bene reputamo nostro proprio per la mutua amicicia et affinità nostra. Appresso inteso quanto loro || hanno referito de scrivere ad Roma al summo pontifice in favore et commendatione de la maestà vestra nuy havimo scripto ad sua santità in optima forma et tanto caldamente quanto haveressimo facto per noy stesso.
Date Papie, die .xviiii°. februarii 1472.
Per <segue Laurencium depennato> Cambiagum
Pare che sia più probabile che la lettera del sultano di Caraman sia stata postata da Cristoforo Visconti, rientrato poche settimane prima di Tommasi Nori e latore oltretutto di analoghe lettere del gran maestro di Rodi e della regina di Cipro. Se a febbraio 1472 il viaggio di rientro era già stato completato, ciò significa che la redazione della missiva sia da assegnare agli ultimi mesi del 1471. Effettivamente l’anno dell’Egira inizia con alcuni mesi di anticipo rispetto all’anno dell’Era Cristiana; è quindi molto probabile che il sultano di Caraman abbia realmente fatto stendere e consegnare nelle mani di Cristoforo Visconti (e si dice che il latore della lettera ha visto coi propri occhi le distruzioni delle fortezze effettuate dagli ottomani) tra ottobre e dicembre, al massimo ai primi di dicembre. La data della prima lettera dovrebbe dunque essere modificata in 1471 ottobre-dicembre.
Passianmo alla seconda lettera. Abbiamo meno elementi per individuare l’eventuale latore: per ora mancano indizi ricavabili dai Registri delle missive, anche se non sono da escludere nuovi documenti che possano gettar luce anche su questa seconda vicenda
Abbiamo però un quadro molto efficace dalla corrispondenza tra i diversi stati italiani, in apprensione per le vicende che vedono i torbidi mimenti dell’ascesa al trono di Mattia Corvino in Ungheria, della sconfitta ed esecuzione capitale del re di Bosnia e delle difficoltà militari del despota di Albania.
Rivolgiamoci ora alle due successive lettere: una del re di Tunisi al marchese di mantova e l’altra totalmente priva di indicazioni.
3
1539 (a. 946 dell’Egira).
Lettera del re di Tunisi Abù Abdallah al Duca di Mantova, Federico II Gonzaga.
In arabo.
4
1551 (a. 959 dell’Egira).
Lettera intorno ad affari giudiziari svoltisi a Tripoli di Siria e ad Aleppo.
In turco.
La lettera del 1551 pare comunque che sia in arabo e non in turco, e comunque vergata sicuramente in caratteri arabi. Dall’espressione usata dall’inventario del fondo pare di intendere che sia da attribuire anche in questo caso a Eugenio Griffini.
Colpisce la estrema genericità del regesto. Ma questa fatto non deve meravigliare. Siamo ormai nei decenni centrali del sec. XVI e, come possono benissimo spiegare i moderni calligrafi arabi [19], si può considerare la scrittura di queste due missive appartenente alla tipologia creata e diffusa a Istambul espressamente per questo ripo di documenti. È in sostanza una calligrafia (appunto con intenti anche di eleganza) destinata però a veicolare testi segreti o comunque estremamente riservati: per questo a fronte di un’apparente chiarezza esteriore il lettore incontra serie e a volte, se non esperto, invalicabili ostacoli alla comprensione, ostacoli espressamente voluti per impedire la divulgazione dei contenuti. Eugenio Griffini, totalmente estraneo a queste problematiche, come è anche comprensibile e giustificabile si è visto costretto a ripiegare su frasi generiche e addirittura a ipotizzare in quella del 1551 l’uso della lingua turca, a lui probabilmente ignota.
È in questo caso ancora più importante ricostruire un possibile quadro di rapporti tra Tunisi e gli stati italiani, anche di terraferma. Un capitolo a parte, per ora totalmente da scrivere, è poi quello dell’area geografica a cui assegnare la quarta delle lettere.
Ma rivolgiamoci ai rapporti tra il despota di Tunisi e gli Stati italiani.
I rapporti, sempre da larte degli Sforza molto cerimoniosi, quasi melensi. Comincia Francesco Sforza, in grande imbarazzo perché un gentiluomo suddito del re di Sicilia Ferdinando d’Aragona era stato imprigionato mentre si trovava nel territorio di Tunisi per esportare cordieri, evidentemente in modo illegale. Le umili e umilòianti richieste di misericordia, unite al fatto che l’alleanza con Ferdinando d’Aragona re di Sicilia e sottolineata con forza, fa credere che la missione del gentiluomo fosse soprattutto si uncarico dello Sforza, in imbarazzo con re di Tunisi e con l’alleato siculo-aragonese [20]. Due anni più tardi un nuovo progioniero, questa volta catturato dai corsari. Fra Baldassarre anziano religioso della Certosa di Pavia, catturato durante un viaggio a napoli per ordine dei suoi superiori e venduti e rivenduto fino a giungere tra gli schiavi del re stesso e destinato a far funzionare il mantice in una fucina di proprietà del sovrano. Francesco Sforza alla fine di Gennaio 1464 interviene con grande decisione e in più direzioni: con Biagio de Corradi [21] mercante milanese perché faccia istanza con Clemente de Ciceris [22] mercante genovese evidentemente in buoni rapporti con il sovrano e forse anche con qualche incarico ufficiale a Tunisi [23]: attraverso questo canale dovette giungere al re di Tunisi la richiesta ufficiale di liberazione (pare di capire a titolo gratuito). Anche nel 1474 Gian Galeazzo deve scrivere per Domenico feruffino cittadino di Alessandria prigioniero a Tunisi dopo la cattura in mare durante il viaggio da Roma alla Lombardia e trattenutocon cavilli [24].
Negli stessi anni mercanti milanesi e genovesi si recano per commerci a Tunisi, dove sotto il governo di Uthaman si sviluppano i commerci con l’Italia e la Spagna, ma anche l’attività dei corsari continua intensamente [25], come dovette sperimentare il corso Alfonso, per il quale intervenne presso il duca il fratellio Vincenzello de Istria [26]. I corsari di Tunisi non erano comunque gli unici pericoli: un indefesso cacciatore di carichi di navi da sequestrare e incamerare con il pretesto del contrabbando e di braccia per azionare i remi delle navi al proprio comando era del resto il catalano Bernardo Villamarin, capitano generale della flotta aragonese, a cui, oltre che direttamente al sovrano, si rivolve Francesco Sforza tra il 1161 e il 1164, sempre con toni concilianti e sottomessi simili a quelli usati col re di Tunisi .[27]
Un secondo interesse economicamente rilevante a Tunisi è costituito dalla raccolta e dal commercio dei coralli, dato in concessione monopolistica dal sovrano a mercanti genovesi con, in aggiunta, un socio milanese. Siamo informati di questo importante interesse commerciale perché nel 1470, quando già è duca Gian Galeazzo Sforza, alcuni mercanti veneziani cercano di intromettersi e di disgregare la società commerciale per entrare nel lucroso affare. Gian Galeazzo, come signore di genova e quindi protettore degli affari economici dei propri sudditi liguri, interviene col doge veneziano e dà disposizioni al console genovese in Tunisi una prima volta nel 1470 e poi anche nel 1472 per tutelare gli interesse dei cittadini del proprio stato [28]. Nion è comunque una novità l’affluenza di mercanti dagli Stati italiani e anche dall’Aragona e dalla catalogna a Tunisi almeno dal Duecento [29]: l’individuazione degli interessi concreti nella seconda metà del Quattrocento può dare qualche possibile spunto per riuscire a enucleare il significato delle due lettere, in particolare di quella del 1539, di quasi impossibile lettura, per ora.
[1] Archivio di Stato di Milano, fondo Cimeli. Inventario dattiloscritto sostituito dall’inventario consultabile online nel sito dell’Archivio. Lo spunto per questa ricerca ha avuto origine da due fatti concomitanti: il primo è stato l’assegnazione dell’argomento per la testi di laurea magistrale allo studente saudita Ahmad Mohmmad A Hazazi sui cimeli in scrittura e lingua araba dell’Archivio di Stato di Milano, tesi di cui sarò relatore; il secondo è stato un interessante e simpatico pomeriggio di studi voluto e organizzato il 27 aprile 2018 dall’architetto Mayada Nahza dell’Associazione Socio-Culturale Libanese in Pavia: L’incontro tra due mondi. Paleografia e Calligrafia Araba e Greco-Latina, con l’intervento di Maurizio Harari, Eyas Halshayeb, Livia Capponi e di chi scrive. Particolarmente efficace è stato, e sarà, lo scambio di opinioni e di conoscenze con il calligrafo arabo Eyas Halshayeb.
[2] Questo è il titolo che gli è talora assegnato dalla cancelleria milanese alla metà del secolo XV; in alternativa ricorre serenissimus princeps, che comunque, con l’uso dell’aggettivo serenissimus, allude a una carica regale: ovviamente si tratta di una traduzione e adattamento alla terminologia latina del titolo originario.
[3] La notizia è desunta dall’inventario stesso. La grafia del nome del re, e precedentemente sultano d’Egitto ricalca quella dell’inventario dattiloscritto.
[4] La lettera conservata a Parma è totalmente inedita e neppure mai regestata e datata con esattezza; devo l’individuazione del pezzo alla memoria e alla perfetta conoscenza dell’archivio emiliano del funzionario dell’archivio, la dott. Valentina Bocchi, che qui ringrazio per la cortese e preziosa segnalazione. Il cimelio è per ora privo di una precisa colocazione archivistica.
[5] Oltre a chi scrive ci si avvarrà anche della supervisione e delle valutazioni del calligrafo arabo.
[6] Per ovvi motivi il materiale in caratteri latini del Quattro- Cinquecento risulta di difficile lettura per lo studente saudita e ancor più di difficile comprensione linguistica, sia per l’uso della lingua latina sia per il volgare.
[7] Il fondo Registri delle missive è uno dei più frequentemente e attentamente consultati da studiosi di ogni parte d’Europa. L’elenco dei lavori anche molto recenti, in cui sono trascritti, citati e utilizzati questi Registri è molto vasto e non sempre può interessare il nostro discorso. Non si può comunque citare i lavori del maggiore esperto della diplomazia del ducato milanese; cito qui un lavoro per tutti, e rimando a questo per la bibliografia: Isabella Lazzarini, Écrire à l’autre. Échanges diplomatiques et réseaux informatifs entre les cours italiennes et l’Orient au Bas Moyen Âge (XIVe-XVe siècle), in La correspondance entre souverains, princes et cités-États. Rédaction, transmission, modalités d’archivage et ambassades. Approches croisées entre l’Orient musulman, l’Occident latin et Byzance (xiiie-début xvies.),a cura di D. Aigle e S. Péquignot, Turnhout, Brepols, 2013, pp.165-194; si veda anche, della stessa autrice, Le scritture dell’ambasciatore. Informazione e narratività nelle lettere diplomatiche (Italia, 1450-1520 ca.), in Diplomazie. Linguaggi, negoziati e ambasciatori fra XV e XVI secolo, a cura di E. Plebani, E. Valeri, P. Volpini, Milano, FrancoAngeli, 2016, pp. 19-41. Si veda, per un inquadramento generale e per una suggestiva interpretazione soprattutto della figura di Galeazzo Maria Sforza, duca dal marzo 1466 al 26 dicembre 1476, giorno della sua morte violenta, Gregory Lubkin, A Renaissance court: Milan under Galeazzo Maria Sforza, Berkeley, University of California press, 1994. Un recente lavoro che utilizza documenti di questi Registri delle missive (documenti trascritti e citati, ma scelti e in certe volte tralasciati operché non direttamente collegati al dicorso dell’autore), è in Armando Nuzzo, Missive inedite sull’elezione di Mattia Corvino a re d’Ungheria conservate nell’Archivio di Stato di Milano, in Rivista di studi ungheresi, 14 (2015), pp. 7-26. si veda anche http://dspace.bcucluj.ro/bitstream/123456789/48219/1/Pop%2BIoan%2BAurel-Rapports%2Bitaliens-2012.pdf. Altri argomenti di estremo interesse per la storia italiana del sec. XV, quali a esempio la presenza degli ebrei, sono stati trattati anche recentemente e hanno un importante punto di confronto con questa fonte archivistica: http://www7.tau.ac.il/omeka/italjuda/items/show/511; e anche La comunità ebraica di Imola dal XIV al XVI secolo. Copisti, mercanti e banchieri, Con due studi di C. Ravanelli Guidotti e M. Perani, Storia dell'Ebraismo in Italia - Studi e testi, vol. 24 2006.<, cm 17 x 24, xvi-492 pp. con 71 tavv. f.t. di cui 47 a col. ISBN: 9788822255921 eliminare>
[8] ASMi, Registri delle missive, busta 63, c. 168r, p. 373. Le trascrizioni che qui si forniscono non sono da considerarsi un’edizione critica; sono state eliminate tutte le note riguardanti correzioni, rasure, iterazioni o omissioni nel corpo del dettato che non rientrano nelle finalità del discorso che qui è fatto.
[11] Eco della vicenda si ha quando il duca se ne occupa l’8 gennaio 1472, procurando di far intercettare e arrestare i disertori e di far recuperare la somma promessa in garanzia (e perduta) da un provisionato in favore del comandante e dei suoi mercenari: indirizzata a Iolanda duchessa di savoia, di cui Butiglionus era suddito e nel cui territorio egli stesso con la sua banda si era rifugiato, e al proprio ambasciatore Antonio da Appiano: l’operazione promossa dal banco di S. Giorgio a duifesa della colonia di Caffa è progettata e attuata nell’estate del 1471, come risulta da quanto il duca stesso dice ad Antonio da Appiano.
[12] «Domino Georgio de Piolzasco militi hyerosolimitano priore <così> Lombardie». La partenza alla volta di Rodi è imposta per il mese di marzo 1471.
[14] Già pochissimi anni dopo la conquista di Costantinopoli e per molti anni il duca si spende invano, scontrandosi con la resistenza dei propri sudditi, in particolare degli ecclesiastici, per fornire enormi quantità di miglio da mescolare col frumento per far durare più a lungo le vettolaglie e preservarle così dalla consunzione nell’ottica di resistere a un lunghissimo assedio.
[15] «Volimo che subito mandi per uno cavallaro adposta l’alligata ad Uvà <Ovada> et la faci dare et consignare in mano proprie de Antonio de Cardano et Augustino Petenaro da Pavia nostri famigli et debii imponere et commettere ad esso cavallaro ch’el guarda andare in forma ch’l non para cavallaro et non sii cognosciuto per cavallaro; porà andare fin là appresso et poy desmontare in qualche loco et andare honestamente ad portare essa littera ad dicti nostri famigli, ma soprattutto vogli subito ad la recevuta de questa mandarlo via, et in ciò non manchare per cosa del mondo».
[19] La calligrafia artistica in caratteri arabi è tutt’oggi coltivata assiduamente con rilevanti risultati artistici. Calligrafia sono in grado di intendere i caratteri e collocare storicamente e culturalmente le diverse grafie.
[20] 24 settembre 1462, Milano, indirizzata a «Domino regi Tunetis Aquilano Africano». Non è indicato il nome del prigioniero da liberare, che comunque non è un uomo catturato dai corsari in mare, ma un prigioniero imprigionato per azioni illegali.
[21] 1464 gennaio <27>, Milano, indirizzata a «Nobili viro Blaxio de Corradi civi et mercatori mediolanensi».
[22] 1464 gennaio 27, Milano, indirizzata a «Nobili viro Clementi de Ciceris mercatori ianuensi».
[23] 1464 gennaio 27, Milano, indirizzata a «Serenissimo principi et excellentissimo domino Optoanensi <Uthaman della dinastia berbera Hasfide: 1436 al 1488> Tunicis et universe Africe regi».
[24] 1474 gennaio 24, Pavia :«Domino regi Tunetis»; stessa data, «Raphaeli Grimaldo consuli mercatorum ianuensium in civitate Tunetis».
[25] 1464 maggio 7, Milano, indirizzata a «Domino regi Tunetis etcetera». 1464 novembre 21, Milano, indirizzata a «Domino regi Tunetis». 1464 dicembre 15, Milano, indirizzata a «Serenissimo domino regi Tunetis».
[26] 1465 gennaio 25, Milano, indirizzata a «Serenissimo domino regi Tunetis».
[28] 1470 febbraio 19, Milano, inviata a «Duci Venetiarum»; stessa data: «Oliverio de Nigro consuli genuensi in Tunete»; 1472 aprile 1, Milano, «Mariano de Furnariis consuli ianuensi in Tuneto».
Ezio Barbieri
Frammenti e registri notarili pavesi e vogheresi del Trecento presso l’archivio di Stato di Pavia
Il fondo dell’Archivio Notarile di Pavia è stato versato presso l’Archivio di Stato soltanto in anni recenti, dopo la sua istituzione avvenuta nel 1963 a opera di Carlo Paganini, primo direttore fino al suo passaggio alla direzione dell’Archivio di Stato di Milano nel 1976. Ugualmente nei primi anni di attività dell’Archivio di Stato di Pavia sono stati effettuati i versamenti dei faldoni degli Archivi Notarili Distrettuali di Voghera e di Vigevano: le due città fino a pochi anni or sono erano infatti sede di Tribunale e quindi di un Collegio Notarile autonomo.
La conservazione presso un Archivio di Stato dei tre fondi notarili della provincia di Pavia ha avuto come benefico effetto una più attenta cura del materiale, sia sotto l’aspetto della conservazione sia per quanto riguarda il controllo durante le consultazioni.
In primo luogo la consultazione avviene ora sotto attenta sorvegliana, impedendo così il mal vezzo di sottolineare e annotare nei margini singoli documenti cartacei sia con matite con anima di grafite, sia con matitoni dalla punta rossa e blu di scolastica memoria sia infine con penne a inchiostro: purtroppo numerose carte appaiono oggi deturpate da alcune mani non del tutto ignote che sicuramente agirono quando le carte erano ancora depositate presso gli Archivi Notarili Distrettuali.
Questo per quanto riguarda la tutela. Nell’ambito poi della corretta conservazione i registri trecenteschi e le filze quattrocentesche (e per ora solamente in piccola parte anche quelle del secolo successivo) sono state oggetto di cartolazione: a far tempo dai decenni centrali del secolo XV il materiale è costituito da fogli singoli o da bifogli e non più, come nel Trecento, in fascicoli. Si riesce così a ovviare per il futuro allo scompiglio che alcuni ben noti studiosi apportano in modo sconsiderato, avventatamente e purtroppo sistematicamente al materiale: ma, prima della cartolazione non era e non sarà più possibile il ripristino della situazione precedente.
Anche il controllo sullo stato di conservazione del materiale è ora continuo. Nel corso degli anni sono state restaurate molte filze il cui materiale era in fase di completo veloce degrado.
Alla fine degli anni ’70 è poi stato avviato e portato a termine il recupero di pergamene utilizzate come rinforzo dei cartoni di guardia delle filze cartacee: a partire della metà del Quattrocento infatti, come si è detto, i notai in area pavese abbandonano il registro costituito da più fascicoli rilegati insieme e adottano bifogli singoli o raggruppati in piccoli fascicoli contenenti ciascuno un solo documento. Alcuni notai redigono poi un sintetico indice di documenti rogati in un breve arco temporale su un singolo bifoglio. Questo materiale, terminata l’utilizzazione frequente nell’arco di alcuni decenni, viene unito in filze, in genere una per anno, unendo le carte per mezzo di uno spago che le trapassata nella parte centrale. I cartoni posti a protezione e rinforzo nella parte superiore e inferiore delle singole filze erano frequentemente, anzi quasi sempre rinforzati con pergamene recuperate da documenti notarili, littere pontificie, carte di codici ritenuti obsoleti e destinati a tale uso.
I registri del Trecento e dei primi decenni del Quattrocento erano forniti anch’essi di una coperta membranacea ottenuta utilizzando quasi esclusivamente documenti dello stesso notaio o di un altro professionista: il documento o era rifilato per renderlo di dimensione confacente a quella dei fascicolo, ma anche per invalidare l’atto asportando la completio del notaio; qualora, raramente, tale operazione avesse reso le dimensioni della pergamena inferiori alla necessità, il nome del notaio era abraso.
A partire dalle filze della metà del Quattrocento le mutate esigenze e tecniche di aggiungere un riparo alle carte, ricoprendo interamente o soltanto rinforzando nei punti di maggior usura i piatti di cartone, hanno fatto sì che le membrane siano state spesso rifilate, ridotte un piccoli quadrati o in striscie e incollate sul cartone. All’usura meccanica a cui era sottoposta la parte esterna si aggiunse dunque anche il danno irreversibile provocato dalla reazione chimica della colla con la pergamena e con l’inchiostro.
Le pergamene intere e anche i frammenti sono stati staccati e restaurati per in iniziativa dell’allora direttore Ugo Fiorina. Il materialemembranaceo in tal modo recuperato ammonta ad alcune migliaia di pezzi; vi si ritrovano testi in latino, in volgare e anche in ebraico. Il lavoro di inventariazione e di studio viene ripreso periodicamente con successivi approfondimenti e può dirsi ben lontano dalla conclusione. Non mi soffermo qui a illustrare i risultati, che sarebbero parziali, anche perché con un attento esame è stato già possibile individuare frammenti che provengono da un medesimo codice e non è da escludere che tale operazione sia possibile in molti altri casi.
Lo stesso direttore Ugo Fiorina e la dott.ssa Emanuela Salvione, che ha retto l’Archivio dopo di lui, hanno comunque curato, pur nella sempre più grave penuria di mezzi finanziari, il restauro del materiale dell’Archivio nitarile, intervenendo sui casi più urgenti. Nonostante questo impegno costante però, per il ridursi dei supporti economici, ancor oggi alcune (non numerose) filze, o più frequentemente sezioni più o meno ampie di esse, sono esplicitamente escluse dalla consultazione perché fortemente a rischio, date le condizioni di forte degrado, in attesa di finanziamenti per il restauro.
Rivolgiamoci al materiale giunto dall’Archivio notarile di Voghera.
I registri più antichi dei notai trecenteschi del borgo sono contenuti nelle prime otto cartelle, con una distribuzione anomala. La prima busta contiene infatti i lacerti dei registri di ben cinque notai: a volte si tratta di singoli bifogli anche di dubbia attribuzione. Un esame sui soli frammenti di questa cartella al momento sarebbe prematuro: è infatti necessario individuare prima di tutto le famiglie e le figure dei singoli notai attivi nel borgo lungo l’intero secolo XIV tenendo conto delle pergamene conservate nell’Archivio storico civico di Voghera e nei fondi dei due monasteri pavesi che avevano ampi possessi nell’Oltrepò (S. Maria del Senatore e S. Maria Teodote) conservati presso l’Archivio di Stato di Milano con lo scopo individuare con precisione tutti i notai attivi nel borgo e attribuire così in modo credibile i singoli lacerti ora nella busta 1.
Un importante aiuto a questo lavoro di individuazione e di ricostruzione arriverà sicuramente dalla trascrizione e dagli indici dei venti registri contenuti nelle successive buste, dalla 2 alla 8, tutti, tranne un caso, attribuibili con sicurezza al notaio vogherese Giovanni de Acurso: ciascuno di questi registri, tranne tre casi, è relativo all’attività di singoli anni: anni distribuiti peròin modo non uniforme nell’arco della lunghissima attività iniziata il 28 gennaio 1341 e terminata il 14 febbraio 1406.
I registri, tutti cartacei, sono protetti da coperte membranacee: esse sono nella quasi totalità dei casi ricavate da pergamene su cui erano stati vergati documenti anche redatti in anni non lontani ma per qualche motivo non più ritenuti degli di conservazione, pergamene rifilate per adattarle alle dimensioni del singolo registro e cassate eradendo il nome e il signum del notaio, quando questo compariva nella parte di membrana riutilizzata.
All’esterno della coperta una mano coeva, forse dello stesso notaio, ha aggiunto l’indicazione dell’anno o degli anni di riferimento: segno questo, insieme con altri, che la rilegatura, spesso in cattivo stato, è comunque coeva: soprattutto sono coevi i nodi che fissano i legacci che univano fascicoli cartacei e il dorso della coperta. Una mano del tardo Cinquecento o forse dei primi del Seicento ha vergato accanto agli anni di riferimento un’appariscente numerazione progressiva dei registri da 1 a 21: abbiamo così un sicuro riferimento cronologico sulla cui base possiamo dire con certezza che altri registri sicuramente allestiti da Giovanni de Acurso negli anni non coperti da questa numerazione erano già perduti nel tardo Cinquecento o tutt’al più ai primi del Seicento. Non è al momento reperibile il registro 12, che grazie alla sua posizione nella numerazione progressiva possiamo considerare compreso tra l’anno 1370 e il 1371, tra il n. 11 (a. 1369) e il n. 13 (a. 1372).
Fissiamo prima di tutto la sequenza cronologica dei registri e la loro composizione, tenendo presente che l’indicazione dell’anno è conforme a quello utilizzata dal notaio nei singoli registri, vale a dire secondo lo stile della Natività coniugato con l’indizione romana, entrambi con inizio al 25 dicembre in anticipo rispetto al nostro anno: i primi documenti di ciascun registro sono dunque da assegnare, rapportando la data all’uso moderno, alla settimana finale dell’anno precedente. La cartolazione, condotta negli ultimi tre lustri del secolo scorso, presenta talora errori, che qui vengono puntualmente segnalati. Il riferimento alle carte resta comunque ancorato a questa numerazione.
Il notaio è ben attento alla distinzione tra Breviarium (nn. 8 e 20) e Note breviariorum (tutti i restanti). Il Breviarium rappresenta la seconda fase nella redazione dell’instrumentum, redazione limitata ai contratti non cassati, il cui formulario raramente presenta parti ceterate; la grafia è anch’essa molto più curata, anche se sempre di mano di Giovanni de Acurso. La nota breviariorum, rappresentata da tutti i registri tranne i due precedenti, oltre a essere caratterizzata da dimensioni più ridotte delle carte, è sicuramente la prima provvisoria stesura dei singoli atti.
Questo è particolarmente evidente nel caso dei numerosi testamenti: alcuni, già redatti per intero, sono cassati con l’esplicita motivazione che non si era potuto procedere alla rilettura delle ultime volontà al moribondo perché quest’ultimo era caduto in delirio [1]. A tale netta distinzione nella mente del notaio tra Note breviariorum e Breviaria fa riscontro una costante irregolarità nella formazione dei fascicoli, spesso compositi e integrati in corso d’opera con aggiunte di altri fogli tra le singole carte, a fronte della regolarità della fascicolazione nell’unico registro/breviarium (n. 8) del 1365.
La maggiore o minore ampiezza del formulario della registrazione nelle note breviariorum (e non nei breviaria) è direttamente proporzionale al maggiore o minore rischio di litigiosità tra le parti. In pochi casi nella Nota breviarii una stesura del contratto che non appagava le controparti è stata sostituita inserendo un bifoglio cucito sulla versione cassata contenente lo stesso contratto secondo una più articolata versione [2]. Per i testamenti il notaio portava con sé il fascicolo e inseriva talora precedentemente le formule iniziali e, verosimilmente appena giunto nella camera del moribondo, dopo alcune carte lasciate in bianco, i nomi dei sette testimoni; dopo di che procedera a vergare sotto dettatura del testatore i singoli capitoli lasciando spazi tra ognuno, per poter inserire eventuali nuovi capitoli o correzioni, come peraltro avveniva di frequente.
Fortunatamente queste note breviariorum, che rappresentano la quasi totalità dei registri, ci hanno conservato in tal modo la storia sotterranea della nascita e della redazione dei contratti.
Un accordo per la vendita di molte terre a bosco indivise di proprietà di una consorteria familiare sulle rive del Po a Pieve del Cairo, ccirdi che prevedeva la divisione prima della vendita, è al contrario redatto anche in questa prima fase senza omettere nessuna formula, anche la più ovvia: tale versione occupa in tal modo più carte [3]. Accanto a questo contratto, così articolato e meticoloso fin dall’inizio proprio perché una delle parti sicuramente era inaffidabile agli occhi dell’altra, abbiamo frequenti contratti di mutuo del barbiere-prestatore Giovanni Balestinus con mercanti che lui abitualmente finanziava, contratti che si riducono ogni volta a poche righe con l’indicazione solamente dei testimoni, della somma e della scadenza [4].
La verifica della composizione dei singoli fascicoli che formano i registri nel caso del n. 8 è stata possibile solamente dopo il restauro: un esame del genere prima della messa in sicurezza avrebbe provocato l’irrimediabile sicura distruzione di non poche carte. Il restauro del registro n. 8 (a. 1365), eseguito nell’autunno del 2017 (essendo direttore pro tempore dell’Archivio Maurizio Tonelli) è stato possibile grazie al sostegno economico di un privato, il dott. Paolo Maria Fornelli Grasso, che ha munificamente coperto l’intero costo dell’operazione.
Il registro n. 20 (anni 1401-1406) è in fase di restauro: anche in questo caso l’intervento si presentava come di estrema urgenza. Pochi altri registri sarebbero consultabili con più sicurezza per l’integrità e la conservazione del supporto cartaceo se la rilegatura membranacea originaria, in fase di degrado, fosse oggetto di un intervento non molto invasivo in grado di riunire in una coperta protettiva tutti i fascicoli: in particolare il n. 7 (a. 1358) presenta i tre fascicoli finali ormai staccati e il piatto inferiore della rilegatura perduto, lasciando le ultime carte esposte a usura non indifferente.
Registro 1, Nota breviariorum anni 1341 e 1342 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 2): fascicoli 3, cc. 40. Fasc. 1, cc. 1-10, ff. 4 + 1 (il bifoglio delle cc. 6-7 è cucito tra le cc. 5 e 8; c. 7 bianca); fasc. 2, cc. 11-38, ff. 16 (il fascicolo è particolarmente composito: i fogli delle cc. 12-14 hanno avuta mozzata la parte destra, di cui rimane una semplice cresta; all’interno della piega tra la carta e la cresta del foglio interno (cresta di c. 14 e c. 38) sono stati cuciti fianco a fianco due altri fascicoli: uno, cc. 15-22, ff. 4 e uno cc. 23-37, ff. 8 (il foglio esterno di quest’ultimo fascicolo è stato mozzato, quindi la c. 23 non ha corrispondente nella parte destra); fasc. 3, cc. 39-40, f. 1.
Registro 2, Nota breviariorum anno 1344 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 2), fascicoli 4, cc. 84. Fasc. 1, cc. 2-15 (nella cartolazione la c. 1 è la copertina cartacea), ff. 7; fasc. 2, cc. 17- 38 (c. 16 è una carta sciolta bianca), ff. 11; fasc. 3, cc. 39- 70, ff. 16; fasc. 4, cc. 71-85 (tra c. 83 e 84 compare la c. 83 bis della cartolazione moderna). I fascicoli non presentano nel margine superiore della prima carta di ciascuno la consueta indicazione del nome del notaio e dell’anno, oltre al signum. Il registro non è attribuibile con certezza a Giovanni de Acurso anche su basi paleografiche.
Registro 3, Nota breviariorum anno 1349 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 2). Fasc. 1, cc. 1-45, ff. 25. Il registro si compone di un unico fascicolo particolarmente complesso: i primi 14 fogli (cc. 1-14 e le corrispondenti cc. 32-45) sono completi, ma le cc. 11-14 (e le corrispondenti non numerate rimaste bianche, di formato minore) sono state inserite per completare un documento particolarmente complesso, un inventatio di beni di minori; al loro interno abbiamo le cc. 15-19 che non hanno corrispondenza nel lato destro del fascicolo in quanto tagliate lasciando unicamente una cresta; le cc. 20-25, quelle centrali del fascicolo, sono complete e presentano anche, sul lato destro, le corrispondenti cc. 26-31.
Registro 4, Nota breviariorum anno 1355 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 2): fascicoli 7, cc. 164. Fasc. 1, cc. 1-32, ff. 16; fasc. 2, cc. 33-58, ff. 12+ 1 (le cc. 53-53 appartengono a un foglio cucito tra le cc. 51 e 54 nel lato destro del fascicolo); fasc. 3, cc. 59-80, ff. 11; fasc. 4, cc. 81-104, ff. 12; fasc. 5, cc. 105-118, ff. 7; fasc. 6, cc. 119-144, ff. 12 (un ipotetico foglio centrale, come si potrebbe dedurre dalla mancanza delle carte centrali 131-132, non è confermato dalla continuità del dettato: sono molto probabilmente da imputare a un errore di cartulazione i due numeri mancanti); fasc. 7, cc. 145-160, ff. 8; fasc. 8, cc. 161-164, ff. 2.
Registro 5, Nota breviariorum anno 1356 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 3): fascicoli 9, cc. 174. Fasc. 1 cc. 1-20, ff. 10; fasc. 2 cc. 21-44, ff. 12; fasc. 3 cc. 45-68, ff. 12; fasc. 4, cc. 69-92, ff. 12; fasc. 5 cc. 93-112, ff. 9 + 1; fasc. 6 + 7, cc. 113-114 e 125-144 + cc. 115-124 del fasc. 7 cucite tra le cc. 114-125, ff. 11 + 5; fasc. 8 cc. 145-160, ff. 8: i due fogli esterni (cc. 1445-145 e cc. 159-160) sono di qualità molto più scadente; fasc. 9, cc. 165-174, ff. 7 (le cc. 170-174 sono bianche e non cartolate.
Registro 6, Nota breviariorum anno 1357 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 3 + 5): fascicolo 1 (busta 5) + fascicoli 8 (busta 3), cc. + cc. 156. Busta 7, all’interno della coperta del registro 18, fascicolo iniziale dell’anno 1357: fasc. 5, cc. 72-95, ff. 12. Busta 3: fasc. 1, cc. 1-2, f. 1 (si tratta di un documento inserito successivamente e registrato fu un foglio separato dagli altri e aggiunto in sostituzione di documento cassato; fasc. 2, cc. 3-22, ff. 10 (l’ultimo documento del fascicolo 2, cc. 22r-22v; fasc. 3, cc. 23-30, ff. 4 (il primo documento, cc. 23r-23v, è la prosecuzione dal fascicolo precedente); fasc. 4 cc. 44-81, ff. 15; fasc. 5, cc. 61-80, ff. 10; fasc. 6, cc. 81-108, ff. 14; fasc. 7, cc. 108-136, ff. 14; fasc. 8, cc. 137-156, ff. 10.
Registro 7, Nota breviariorum anno 1358 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 4). Schedatura e trascrizione ed edizione a cura di Valentina Cozzi nell’ambito di una tesi di laurea specialistica nell’anno acc. 2017-2018 [5]. Fascicoli 11, cc. 218. Fasc. 1, cc. 1-12, ff. 6; fasc. 2, cc. 13- 28, ff. 8; fasc. 3, cc. 29- 52, ff. 12; fasc. 4, cc. 53-68, ff. 8; fasc. 5, cc. 69-86, ff.9; fasc. 6, cc. 87-110, ff. 12; fasc. 7, cc. 111-120, ff. 5; fasc. 8, cc. 121-144, ff. 12; fasc. 9, cc. 145-164, ff. 10; fasc. 10, cc. 165-192, ff. 14; fasc. 11, cc. 193-218, ff. 12 (12 bifogli più uno inserito tra c. 209 e c. 212). I fascicoli 9, 10 e 11 sono scuciti e separati dal resto del registro. La parte di pergamena che copriva il retro del fascicolo è andata perduta. Le carte da 213v a 218v sono bianche, mentre le carte da 214r a 218v sono rovinate in quanto manca l’angolo destro inferiore; la c.218 manca anche di parte della metà superiore.
Registro 8, Breviarium anno 1365 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 4). Registro restaurato. Schedatura a cura di Valentina Cozzi. Fascicoli 6, cc. 106. Fasc. 1, cc. 1-20, ff. 10; fasc. 2, cc. 21-40, ff. 10; fasc. 3, cc. 41-58, ff. 9; fasc. 4, cc. 59-74, ff. 8; fasc. 5, cc. 75-90, ff. 8; fasc. 6, cc. 91-106, ff. 8. Le prime tredici carte sono cartulate utilizzando numeri romani (I-XIII), invece dalla quattordicesima carta la cartulazione ricomincia dall’inizio, questa volta utilizzando numeri arabi (le carte che compongono il registro sono 106 ma, a causa di questo metodo di cartulazione, ne risultano solamente 92). È stato commesso un errore di cartulazione in quanto si arriva a c. 38, quella successiva non è numerata (per dimenticanza) e la carta che segue quest’ultima presenta invece il numero 39. Il registro presentava danni evidenti ed è stato restaurato: in particolare, le prime dieci carte erano estremamente danneggiate, per cui alcune parti di testo sono andate perdute. Pietro Falciola negli anni ’30 e forse anche nei primi anni ’40 mostra nei propri articoli divlgativi di aver consultato questo registro, non sappiamo se già all’epoca in stato di degrado [6].
Registro 9, Nota breviariorum anno 1366 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 5). Schedatura a cura di Antonino Panfalone nell’ambito di una esercitazione nel corso di laurea specialistica: fascicoli 8, cc. 78. Fasc. 1, cc. 1-10, ff. 5 (il dettato del documento finale prosegue nel fasc. 2); fasc. 2, cc. 11-14, ff. 2; fasc. 3, cc. 15-18, ff. 2; fasc. 4, cc. 19-26, ff. 4; fasc. 5, cc. 27-42, ff. 8 (c. 42 bianca); fasc. 6, cc. 43-56, ff. 8 (è presente la c. 41 bis e al carta 51 bis, non appartenenti allo stesso foglio; è saltata nella numerazione la c. 56 ed è invece presente la c. 52bis); fasc. 7, cc. 57-72, ff. 8; fasc. 8, ff. 73-78, ff. 3 (la metà destra del fascicolo, costituita dalle cc. 76-78, è bianca e non cartolata).
Registro 10, Nota breviariorum anno 1367 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 5): fascicoli 7, cc. 95. fasc. 1, cc. 1-10, ff. 5 (è iterata la c. 6, ma la numerazione riprende regolarmente dopo la ripetizione col n. 8); fasc. 2, cc. 11-22, ff. 6; fasc. 3, cc. 23-34, ff. 6; fasc. 4, cc. 35-47, ff. 8 (i tre fogli interni, corrispondenti alle cc. 40-42, hanno la parte destra mozzata); fasc. 5, cc. 48-63, ff. 8; fasc. 6, cc. 64-79, ff. 8; fasc. 7, cc. 80- 95, ff. 8 (le tre carte finali non sono cartolate).
Registro 11, Nota breviariorum anno 1369 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 5): fascicoli 11, cc. 190. Fasc. 1, cc. 1-18, ff. 9; fasc. 2, cc. 19-36, ff. 9; fasc. 3, cc. 36-53 (c. 36 iterata alla fine del fascicolo e all’inizio del successivo), ff. 9; fasc. 4, cc. 54-73, ff. 10; fasc. 5, cc. 74-83, ff. 5; fasc. 6, cc. 84-107, ff. 12; fasc. 7, cc. 108-115, ff. 8 (i foglio hanno tutti la parte destra mozzata; le carte sono tutte appartenenti alla parte sinistra del fascicolo, che contiene un unico documento); fasc. 8, cc. 116-135, ff. 10; fasc. 9, cc. 136-158’ (la c. 158’ segue alla c. 158 ed è iterata), ff. 12; fasc. 11, cc. 159-173 (a c. 164 segue c. 164’), ff. 8; fasc. 11, cc. 174, 190, ff. 10 (il quart’ultimo, il terz’ultimo e il penultimo foglio hanno mozzata la parte destra).
Registro 12: deperdito [7].
Registro 13, Nota breviariorum anno 1372 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 6): fascicoli 6, cc. 76. Fasc. 1 cc. 1-21, ff. 11 (tra c. 6 e c. 7 per errore di cartulazione esiste la c. 6 bis); fasc. 2, cc. 22-25, ff. 2; fasc. 3, cc. 26-41, ff. 8; fasc. 4, cc. 42-49, ff. 4; fasc. 5, cc. 50-72, ff. 12; fasc. 6, cc. 73-76, ff. 2.
Registro 14, Nota breviariorum anno 1373 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 6): fascicoli 3, cc. 56. Fascicolo 1, cc. 1-20, ff. 10; fasc. 2, cc. 21-36, ff. 8; fasc. 3, cc. 37-56, ff. 10 (cc. 48v-56v bianche).
Registro 15, Nota breviariorum anno 1376 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 6): fascicoli 8, cc. 165. Fasc. 1, cc. 1-20, ff. 10; fasc. 2, cc. 21-44, ff. 12; fasc. 3, cc. 45-64, ff. 10 (i due fogli esterni, cc. 45-46 e 63-63, sono state aggiunte successivamente per consentire l’inserimento a fine lascicolo di un unico documento vergato con inchiostro diverso; le cc. 45 e 46 sono bianche); fasc. 4, cc. 65-80, ff. 8 (il foglio interno, cc. 72-73, è stato aggiunto successivamente per inserire la registrazione di un unico documento); fasc. 5, cc. 81-98, ff. 9 (il foglio interno (cc. 81 e 98) e quello interno (cc. 89-90) sono completamente bianchi e sono stati aggiunti successivamente); fasc. 6, cc. 99-118, ff. 10; fasc. 7, cc. 119-141, ff. 12 (tra le cc. 139 e 140 abbiamo c. 139 bis per un errore di cartulazione); fasc. 8, cc. 142-165, ff. 12.
Registro 16, Nota breviariorum anno 1377 gennaio 28 - aprile 1, aprile 3 - giugno 25, giugno 26 - settembre 7, settembre 7 - novembre 11, novembre 15 - novembre 18, novembre 18 - dicembre 22, dicembre 22 - dicembre 24; 1378 novembre 30 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 6): fascicoli 7, cc. 115. Fasc. 1, cc. 1-12, ff. 6: il doc. iniziato a c. 9r si conclude nella carta iniziale del fascicolo successivo, 13r, con segno di richiamo (nella facciata esterna della coperta membranacea: «Nota quod instrumenta istius breviarii [………] extrassi [……] breviario in meliori forma»); fasc. 2: 2a, cc. 15-24, ff. 5 (contiene i docc. dell’anno 1378 novembre 30; cf. busta 7, registro 17); fasc. 2b, cc. 13-14 (le cc. 13v-14v sono bianche), 25-37bis, ff. 8: il doc. iniziato a c. 36r prosegue nel fascicolo successivo fino a c. 41r (il fasc. 2a è cucito tra le cc. 14 e 15 del fasc. 2b); fasc. 3, cc. 38-59, ff. 10 + 1 (il bifoglio delle cc. 40 e 41 è cucito tra le carte 39 e 40); fasc. 4 cc. 60-75, ff. 8; fasc. 5, cc. 76-95, ff. 10; fasc. 96-111, ff. 8; fasc. 7, cc. 112-115, ff. 2.
Registro 17, Nota breviariorum anno 1378 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 7): fascicoli 9, cc. 146. Fasc. 1, cc. 1-16, ff. 8; fasc. 2, cc. 17-24, ff. 4; fasc. 3, cc. 25-46, ff. 11 (cc. 44-46 bianche); fasc. 4 cc. 47-66, ff. 10; fasc. 5, cc. 67-82, ff. 8; fasc. 6, cc. 83-98, ff. 8; fasc. 7, cc. 99-114, ff. 8; fasc. 8, cc. 115-130, ff. 8; fasc. 9, cc. 131-146, ff. 8.
Registro 18, Nota breviariorum anni 1379 + 1357 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 7), fascicoli 5, cc. 95. Fasc. 1, cc. 1-16, ff. 8; segue c. 17 inserita a fine Ottocento o ai primi Novecento, a cui corrisponde a fine fascicolo c. 42 della stessa tipologia; fasc. 2, cc. 18-41, ff. 12 + 1; fasc. 3, cc. 43 – 57, ff. 8 (le cc. 54-57 sono bianche e non cartolate, ma comprese nel computo delle carte); fasc. 4, cc. 58-71, ff. 7; fasc. 5, cc. 72-95, ff. 12 (anno 1357).
Registro 19, Nota breviariorum anni 1389, 1390, 1391 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 7), fascicoli 17, cc. 1-276. Anno 1389 (fascicoli 1-7, cc. 1-104, febbraio 5 - dicembre 18). Anno 1390 (fascicoli 8-14, cc. 105-232, 1389 dicembre 31 - 1390 dicembre 21). Anno 1391 (fascicoli 15-17, cc. 233-276, 1390 dicembre 31 - 1391 dicembre 23). Fasc. 1, cc. 1-12, ff. 6; fasc. 2, cc. 13-30, ff. 9; fasc. 3, cc. 31-46, ff. 8; fasc. 4, cc. 47-62, ff. 8; fasc. 5, cc. 63-78, ff. 8; fasc. 6, cc. 79-96, ff. 9; fasc. 7, cc. 97-104, ff. 4; fasc. 8, cc. 105-120, ff. 8 (la c. 105 è bianca); fasc. 9, cc. 121-134, ff. 7; fasc. 10, cc. 135-150, ff. 8; fasc. 11, cc. 151-171, ff. 10 (cc. 160-170 bianche); fasc. 12, cc. 171-184, ff. 7 (c. 184 bianca); fasc. 13, cc. 185-200, ff. 8; fasc. 14, cc. 201-218, ff. 9; fasc. 14, cc. 219-232, ff. 7 (la seconda metà del fascicolo, comprendente le cc. 226-232 sono bianche); fasc. 15, cc. 233-248, ff. 8; fasc. 16, cc. 249-264, ff. 8; fasc. 17, cc. 265- 276, ff. 6
Registro 20, Breviarium anni 1401-1406 (ASPv, Notarile di Voghera, busta 8). Fascicolo di carte non rilegate: Il registro non è ancora disponibile per la consuiltazione perché ancora in restauro.
Registro 21, Nota breviariorum anni 1403 (fascicoli 1-3, dal 1402 dicembre 29 al 1403 dicembre 6; a c. 72v inizia il 1404 dal gennaio 11), 1404 (fascicolo 4, dal gennaio 16 al novembre 28), 1405 (fascicoli 5-7, prima metà: dal 1404 dicembre 31 al 10405 dicembre 23, 1406 (fasc. 7, seconda metà, dal 1405 dicembre 30 al 1406 febbraio 14); (ASPv, Notarile di Voghera, busta 8) fascicoli , cc. . Fasc. 1, cc. 1-38, ff. 10 (la cartolazione moderna inspiegabilmente prevede in questo fascicolo solo numeri dispari da 1 a 33 e nelle ultime tre carte numeri pari 34, 36 e 38: in realta si tratterebbe di cc. 1-20); fasc. 2- cc. 40-68, ff. 8 (la numerazione di questo fascicolo prevede anche qui inspiegabilmente solo numeri pari da 40 a 68; c. 42, del secondo foglio del fascicolo, non ha corrispondenza nella seconda parte del fascicolo stesso; in realtà si tratterebbe di cc. 21-35); fasc. 3, cc. 70-76, ff. 2 (anche qui solo numeri pari; in realtà cc. 36-39); fasc. 4, cc. 78-108, ff. 8 (solo numeri pari; in realtà cc. 40-55); fasc. 5, cc. 118-132, ff. 4 (solo numeri pari; inrealtà cc. 56-63); fasc. 6, cc. 134-160, ff. 7 (solo numeri pari, in realtà cc. 64-77); fasc. 7, cc. 162-184, ff. 6 (solo numeri pari; in realtà cc. 78- 89).
Sicuramente l’attività professionale di Giovanni de Acurso ebbe nel suo lunghissimo sviluppo un’intensità molto diversa nel differenti periodi. Stando a quanto ne è rimasto abbiamo il picco nel quadriennio 1354-1358 con un totale che sfiora i mille contratti e con una punta nel 1358 di 274 registrazioni. Nei decenni successivi tra il 1366 e il 1369 (con esclusione del 1168) abbiamo tra quasi 350 contratti nell’arco di tre anni, con edidenti differenze di frequenza nelle registrazioni e con significativi periodi di inattività. Ben documentati sono gli anni ’70: nei sei registri sono contenuti complessivamente meno di quattrocento contratti, con punte negative negli anni estremi iniziale e finale di una cinquantina di documenti e con un numero di non molto superiore al centinaio solamente negli anni centrali. Dopo un modesto incremento a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, infine è molto limitata l’attivita negli estremi anni di carriera, quando ormai Giovanni è, per l’epoca, estremanente avanzato di età. Sono documentati i primissimi anni di attività con meno di un centinaio di contratti. Anzi il primo registro, in cui compare senza ombra di dubbio il suo signum, mostra una grande incertezza nel dichiarare il proprio nome e la data del primo documento [8].
È possibile che per vari motivi, che possiamo identificare nei ricorrenti contagi che lo hanno indotto a ritirarsi a Godiasco alla metà degli anni ’60 e nell’instabilità politica di tutta l’area, Giovanni sia rimasto inattivo per qualche anno. Rimane però un arco di tempo, che in modo saltuario coinvolge circa due terzi della sua vita professionale, in cui non abbiamo registri superstiti. A documentare la sua attività, anche se non il numero dei contratti, rimandono gli originali ricavati dai suoi Breviaria o dalle sue Note breviariorum. Uno spoglio esteso ma al momento non ancora completo ha portato a individuare quarantanove originali: trenta nell’Archivio di Stato di Milano [9], diciassette nella raccolta delle pergamene nell’Archivio Storico Civico di Voghera [10] e due nell’Archivio del Duomo di Voghera [11].
Se incrociamo questi dati risulta che gli anni in cui non è attestata nessuna attività in veste di notaio si riducono di molto: e proprio questi anni potrebbero essere di effettiva inattività come notaio perché Giovanni de Acurso era o fuggito nei borghi circostanti a causa del contagio o inmpegnato come amministratore della città o nella gestione del proprio rilevante patrimonio. Qualche elemento per delineare a tutto tondo questa figura potrà comunque essere ricavato dalla documentazione pergamenacea degli altri notai coevi.
Che destino hanno avuto le imbreviature dopo la morte di Giovanni de Acurso senza figli e forse senza alcun parente notaio [12] alla fine di febbraio 1406? Un primo passaggio è nelle mani di Pietro de Bosco del fu Giacomo, lo stesso notaio che raccolse il testamento dell’ultraottantenne Giovanni nell’imminenza della morte il 27 febbraio 1406 [13]. Alcuni originali sono estratti direttamente da Pietro de Bosco [14], un’unica (almeno per ora) pergamena ci attesta anche il passaggio dalle mani di Pietro de Bosco a quelle del figlio Giovanni [15]. Possiamo così seguire la storia dei registri di Giovanni de Acurso per alcuni lustri, o forse per alcuni decenni, forse al massimo fin verso la metà del Quattrocento. Per un secolo e mezzo o al massimo due non abbiamo più punti di riferimento, fino a quando cioè una mano verga sulle coperte membranacee una numerazione in cifre arabe da 1 a 21. Non abbiamo registri superstiti per gli anni 1382 e 1385, registri sicuramente esiste nti nella prima metà del Trecento e da cui Pietro e Giovanni de Bosco dopo la morte di Giovanni de Acurso hanno ricavato originali. Ugualmente Giovanni nel pieno della propria attività estrasse originali di pripria mano da numerosi altri registri ora non più conservati.
Il personaggio pubblico Giovanni de Acurso, ricco possidente e giurista vogherese, è stato oggetto di maggiori attenzioni rispetto al Giovanni de Acurso in veste di notaio, soprattutto come estensore dei venti registri superstiti della sua attività.
Negli anni ’30 e forse anche nei primi anni ’40 del secolo scorso questi registri erano stati la fonte di una serie di brevi articoli che delineavano schizzi della città e della società vogherese abbozzati da un volenteroso e anche intelligente cultore di memorie locali e di microstoria di Voghera, il chimico vogherese Pietro Falciola, peraltro gia professore all’università di Napoli, dedicatosi, una volta tornato nella città d’origine, a divulgare vicende e curiosità soprattutto di età viscontea [16]; Pietro Falciola, che nonostante la sua formazione e la professione esercitata nell’arco di una vita dimostra un’apprezzabile capacità di leggere e interpretare i documenti, aveva desunto dalla rapsodica lettura dei registri di Giovanni de Acurso una serie di notizie inedite sull’assetto urbanistico e sugli abitanti del borgo nella seconda metà del Trecento, senza però citare nella quasi totalità dei casi ben individuabili documenti.
La figura di Giovanni de Acurso come possidente, membro influente del gruppo di potere del borgo, è invece bene in evidenza negli studi di Daniela Romagnoli [17] e di Laura De Angelis Cappabianca [18] condotti in modo meritorio sul ricco e vario materiale dello’Archivio Storico Civico di Voghera: non è però preso in esame il versante professionale di Giovanni de Acurso, pur così significativo proprio per l’inconsueto numero di registri di suo pugno giunti fino a noi: la prospettiva delle recerche delle due studiose giustifica però l’interesse su altri generi di fonti documentarie, conservate in copiosa quantità a Voghera [19].
Un esame dei registri è poi stato condotto alla fine del secolo scorso da Andrea Piazza nell’ambito delle recerche per il suo contributo nel volume dell’interrotta Storia di Voghera [20]: l’ottica della ricerca lo ha portato a concenterarsi sui testamenti, che ha citato in modo puntuale ma senza segnalare l’importantisimo elemento che non pochi erano cassati per sopraggiunta morte o stato comatoso del malato: testamenti che non sarebbero mai stati trascritti nel Breviarium. A fianco dei testamenti abbiamo anche un ugualmente rilevante e finora trascurato numero di doti, dove accanto al denaro contante e alla descrizione di eventuali beni immobili abbiamo sempre un dettagliatissimo elendo di mobili domestici, di abbigliamento e dibiancheria: vista l’importanza dei francescani nel borgo (ben attestata soprattutto nei primi decenni di attività del notaio) un utile elemento potrebbe essere l’esame di queste doti in relazione con la predicazione contro il lusso [21].
Allo stato attuale delle nostre conoscenze (molto più precise di quanto si sapeva finora) Giovanni de Acurso ha un periodo di attività professionale estremanente lungo, ma sicuramente attestato: sessantacinque anni, dal 1341 al 1406. Non si tratta però di una fusione di due omonimi: il suo signum notarile sul più antico registro, che inizia il 28 gennaio 1341, e sul più recente, che termina il 14 febbraio 1406, due settimane prima della morte, non lascia adito a dubbi.
La sua attività si svolge prevalememente in Voghera: non mancano però occasionali puntate esterne molto veloci: una fino nei pressi della vicina capodiocesi Tortona all’inizio della propria attività; molti anni più tardi, anche forse grazie a più stretti rapporti instaurati con il monastero pavese di S. Maria del Senatore, si reca ripetutamente nella città di Pavia, oltre che abitualmente a Codevilla, Medassino, ed eccezionalmente a Pieve del Cairo; non manca neppure un lungo soggiorno a Godiasco, forse per sfuggire al contagio. Anche in anni molto tardi della sua vita Giovanni, ampiamente ultraottantenne, in pieno inverno raggiunge Codevilla o Medassino per raccogliere volontà testamentarie.
La data topica che il notaio appone nei documenti rogati a Pavia, e non soltanto nelle Note breviariorum ma anche negli originali [22], mostra la sua difficoltà ad adattare le proprie coordinate topografiche a una realtà diversa e più ampia rispetto a quella del borgo in cui abitualmente risiede. Quando infatti si reca a Pavia, nell’edificio del monastero del Senatore, indica in modo costante come data topica in porta Marenga parochie Sancte Thegie: sembra quindi che la porta sia una sottopartizione della parrocchia. A Voghera infatti il borgo ha un’unica pieve ma è diviso amministrativamente in cinque porte. Inutile quindi specificare la parrocchia: basta l’indicazione della porta. A Pavia le nove porte sono suddivise ciascuna in più di dieci parrocchie, il cui numero complessivo all’epoca supera ampiamente il centinaio. È quindi ovvio e necessario indicare la circoscrizione più ampia (la porta) e al suo interno la partizione minore (la parrocchia): in porta Marenga, in parochia Sancte Thegie. Giovanni non giungerà mai, anche in anni tardi, a concepire questa gerarchia topografica, rimanendo sempre fissato a quella del suo borgo. Un dettaglio, un genitivo in luogo di una preposizione seguita dell’ablativo, che però a mio parere cambia un’importante prospettiva.
I viaggi a Pavia si intensificano negli anni ’70, anche nei mesi di novembre e dicembre, quindi quando l’inclemenza del tempo poteva essere un ostacolo. Il registro 19 della busta 7, relativo agli anni 1389-1391, ci può dare alcune indicazioni sul viaggio da Voghera a Pavia compiuto quando il notaio era sicuramente settantenne e in una stagione ancora inclemente. Siamo infatti negli ultimi dieci giorni di febbraio, precisamente nella settimana di Carnevale che precede il mercoledì delle ceneri. Il giorno 22, lunedì, hora none, quindi già in pieno pomeriggio, il notaio si trova nell’edificio dove ha sede la dipendenza del monastero del Senatore in Voghera, dove roga un atto; nello stesso pomeriggio, più tardi, precisamente hora vesperarum, Giovanni è a Codevilla, ora a circa cinque chilometri da Voghera, ugualmente nell’edificio del monastero del senatore che anche in quella località ai piedi delle colline possedeva ampi vigneri e terreni coltivabili oltre che, nelle prossimità, il castello di Mondondone [23]. Il successivo mercoledì al mattino si trova nella propria casa di voghera dove roga un atto. La sera dello stesso giorno è nell’edificio del monastero del Senatore in Pavia, dove roga ben dodici contratti e un tredicesimo il giorno successivo, giovedì, in un'altra parte della città. Solamente la domenica compare di nuovo a Voghera in attività [24].
Il trasferimento da Voghera a Pavia tra il mattino e l’ora ottava [25], sicuramente una parte del pomeriggio non ancora nell’imminenza del vespro, fa riflettere sui mezzi di trasposto e sui tempi di viaggio. Giovanni, se si eccettuano le località nel raggio degli attuali cinque-sei chilometri dal centro di Voghera (non considerando la singola trasferta in anni giovanili fino a Tortona a una quindicina di chilometri circa), si muove solamente verso località accessibili per via fluviale. Ci si poteca recare a Pieve del Cairo facilmente risalendo il fiume Po. Pavia poteva essere raggiunta recandosi all’approdo della nave del monastero del Senatore a Corana (piccolo centro dove monasteri pavesi possedevano ampi terreni, a neppure una decina di odierni chilometri da Voghera: forse anche meno se si ipotizza uno spostamento verso nord del letto del fiume); di lì sull’imbarcazione si seguiva la corrente fino alla confluenza del Ticino; si risalive quindi fiune e si arrivava sotto le mura della città di Pavia, all’interno delle quali, proprio nelle vicinanze dell’approdo, era l’edificio del Senatore, meta finale del viaggio.
Altra considerazione: Giovanni de Acurso è uno dei cinque sapientes incaricati della redazione degli statuti del borgo del redatti nel 1389 e approvati nel 1391: è considerato dai concittadini un esperto di diritto. Ma vediamo qualche elementare esempio del formulario. La consueta formula «patre filio consenciente» con cui il padre, vivente, presta il proprio consenso al figlio, viene costantemente trasformata in «patre filio consencientibus»: il dativo «filio» è dunque inteso come ablativo e di conseguenza entrambi, genitore e figlio, prestano consenso, non si sa a chi. Un frantendimento questo che costituisce la spia della totale mancanza di conoscenza di uno dei pilastri del formulario e della prassi per secoli [26]. Anche qui «consencientibus» sempre in luogo di «consenciente» non è solamente una pignoleria sintattica, ma un indizio di una falla molto profonda.
Voghera conosce momenti drammatici durante la seconda metà del Trecento: in primo luogo le guerre degli anni ’50 e ’60 [27] che lasciano tracce anche nel comportamento e nelle scelte dei clienti di Acurso. Non dimentichiamo poi i contagi che ricorrono con frequenza: dalla peste del 1348 alle altre cosiddette pesti che più volte incontriamo in modo ricorrente fino al 1406, quando lo stesso Giovanni, che muore alla fine di febbraio di quell’anno, ne è forse vittima. Anche se talora il borgo riesce a evitare il contagio all’interno delle proprie fortificazioni, certamente la situazione all’esterno ne condiziona la vita e i traffici, così come gli eventi militari. Nei registri vediamo così gli effetti del contagio, delle guerre, o anche semplicemente del trascorrere del tempo. Quello che erano presenze abituali nella vita professionale del notaio a dictanza anche solamente di un decennio scompaiono totalmente e spesso li ritroviamo tristemente preceduti da un «quondam» Ma abbiamo anche la promulgazione degli Statuti del borgo nel 1389, statuti che vedono la partecipazione attiva e riconosciuta del nostro notaio e che apportano mutamenti decisivi in aspetti della vita economica e civile, oltre che del costume: ricordiamo un solo elemento per tutti, la proibizione per le donne di essere eredi, innovazione questa che stravolge la prassi attestata proprio nei numerosi testamenti redatti del notaio nei decenni precedenti; senza considerare poi che nel 1406 l’erede di Giovanni è la consorte, la compagna di una lunghissima vita.
[1] I testamenti sono stati elencati e citati per stralcio da Andrea Piazza, Gli ordini mendicanti, pp. 414-422, note 18, 20, 38-50. Sono totalmente assenti queste distinzioni tra Note breviarii e Breviaria, come pure l’osservazione che alcuni testamenti sono cassati esplicitando la motivazione.
[2] Si veda la segnalazione di questi casi nella descrizione del fascicolo che segue.
[3] Si veda il registro 7 (a. 1358), cc. 144v-182r; Valentina Cozzi, Il registro del notaio vogherese Giovanni de Acurso (1358). Studio ed edizione critica, tesi di Laurea, Università di Pavia, Dipartimento di studi umanistici, a. acc. 2017-2018, relatore Ezio Barbieri, n. 235, 1358 novembre 15, Pieve del Cairo: il contratto è redatto direttamente nella località in cui si trovano i beni. Un caso in cui il notaio si sposta fuori dal borgo.
[4] Nello stesso registro 7 del 1358, c. 177r-177v, Valentina Cozzi, Il registro del notaio vogherese Giovanni de Acurso (1358), n. 234, 1358 novembre 12: Giovanni Balestinus concede (o forse meglio intermedia) un mutuo e il notaio utilizza un formulario estremamente abbreviato, come costantemente usa nei prestiti (o intermediazioni) del barbiere-finanziere Giovanni Balestinus con i suoi abutuali clienti, in genere mercanti che acquistano merci con contratti di mutuo a brevissimo termine. Del pari le procure o le carte pacis, queste ultime meno frequenti, hanno uno sviluppo molto ridotto: v. a es. Valentina Cozzi, Il registro del notaio vogherese Giovanni de Acurso (1358), nn. 231 e 232.
[5] Valentina Cozzi, Il registro del notaio vogherese Giovanni de Acurso (1358) già citata: i contratti registrati nell’anno a nativitate 1358 sono in totale 274.
[6] Pietro Falciola, Voghera viscontea: vita del borgo nel tardo medioevo, a cura di Virginio Giacomo Bono, Voghera, Cooperativa Editoriale Oltrepo - Comune di Voghera, 1988. Il volume è stato edito molti anni dopo la morte dell’autore raccogliendo i suoi brevi ma fitti interventi nella stampa locale, allora e fino agli anni Cinquanta del ‘900 molto vivace.
[7] Pietro Falciola, Voghera viscontea: vita del borgo nel tardo medioevo, non cita nel volume documenti di quest’anno e neppure del 1369, quindi non dovrebbe aver visto né questo registro né il registro 11, relativo appunto al 1369.
[8] Giovanni infatti appone il signum e il proprio nome solamente in un secondo momento nell’angolo superiore sinistro e, con inchiostro più scuro nel margine superiore, l’anno e l’indizione: originariamente la registrazione iniziava con il giorno della settimana e quello del mese, preceduto da un segno di paragrafo secondo quella che sara una sua abitudine costante in tutti gli anni seguenti. Un inizio così irregolare di un fascicolo non si ripeterà nei registri successivi, a conferma dell’estrema inesperienza iniziale del giovane notaio.
[9] Lo spoglio è stato condotto da chi scrive nel fondo pergamene e la documentazione pertinente al nostro discorso si concentra nelle cartelle 661, 663, 665, 677 e 700.
[10] Le pergamene sono disposte ad annum. Esiste un inventario digitalizzato: Archivio storico Civico di Voghera. Fondo diplomatico 1269-1406. Inventario, a cura di Cesare Scrollini, revisione a cura di Natalia Stocchi, 2017. Si può fare riferimento nche a Natalia Stocchi, L'archivio storico del Comune di Voghera: un progetto di riordino, inventariazione e valorizzazione, tesi di laurea, Università la Sapienza, Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari, anno acc. 2007-2008, relatrice Marina Raffaeli.
[11] Le pergamene sono state individuate dal dott. Cesare Scrollini, già Direttore dell’Archivio Storico Civico di Voghera e ora curatore dell’Archivio del Duomo.
[12] Le pergamene degli originali estratti dai Breviaria (e forse per certi anni direttamente dalle Note breviariorum) sono tutte interamente di mano di Giovanni: non risultano per questa via legami con parenti anch’essi notai e neppure con altre famiglie di notai.
[13] Il documento è già noto: si veda a es. Andrea Piazza, Gli ordini mendicanti, p. 418.
[14] Si veda il doc. 1385 maggio 6, Voghera, in Archivio di Stato di Milano, fondo pergamene, S. Maria del Senatore, cart. 661; 1376 ottobre 30, Voghera, ivi, cart. 663; 1385 maggio 8, Pavia, ivi, cart. 663.
[15] 1382 novembre 26, Voghera, in Archivio di Stato di Milano, fondo pergamene, S. Maria del Senatore, cart. 661.
[16] Pietro Falciola, Voghera viscontea: vita del borgo nel tardo medioevo, passim.
[17] Daniela Romagnoli, Una città burocratica e rurale: Voghera nella prima metà del sec. XV, in La demografia storica delle città italiane. Atti del Convegno del SIDES, Assisi, 27-29 ottobre 1980, Bologna 1982, pp. 385-400. Daniela Romagnoli, Voghera: popolazione e società nella prima metà del XV secolo, in «Bollettino della Società pavese di storia patria», 81 (1981), pp. 117-145.
[18] Laura De Angelis Cappabianca, Terra e società a Voghera nel secondo medioevo, in Storia di Voghera. I: Dalla preistoria all’età viscontea, a cura di Ettore Cau, Paolo Paoletti, Aldo A. Settia, Voghera, Edo – Edizioni Oltrepò, 2003, pp. 225-282. Laura De Angelis Cappabianca, Voghera alla fine del Trecento. Fiscalità signorile, demografia, società, Milano, Unicopli, 2004. Si vedano in nota di quest’ultimo libro le citazioni di precedenti lavori dell’autrice riguardanti il medesimo periodo e lo stesso territorio vogherese.
[19] Il materiale dell’intero Archivio Storico Civico è ora in fase di trasferimento nella nuova sede di via Emilia, nel palazzo Gallini: in tale occasione la direttrice, dott.ssa Natalia Stocchi, sta curando il possibile e altamente auspicabile recupero di materiale anche trecentesco già citato in opere a stampa che però è ora indisponibile probabilmente per errori di ricollocazione.
[20] Andrea Piazza, Gli ordini mendicanti, in particolare pp. 414 e seguenti, note 18 e successive.
[21] Quando sarà completata la trascrizione dei registri (per ora sono interamente trascritti a opera di chi scrive quelli degli anni 1355, 1356, 1357, 1366, 1367, 1369, 1372 e 1373 (rispettivamente Registri nn. 4, 5, 6, 9, 10, 11, 13, 14), oltre all’anno 1358 trascritto da Valentina Cozzi) sarà disponibile un ricco panorama per sviluppare anche per Voghera l’interessante spunto che si trova in Federica Boldrini, De ornatu mulierum. La polemica contro le vanità femminili tra predicazione, diritto canonico e legislazione suntuaria, nel trattato di un minorita osservante del XVI secolo, Università Magno Graecia di Catanzaro, Dipartimento di scienze giuridiche, storiche, economiche e sociali, Dottorato di ricerca in teoria del diritto e ordine giuridico europeo, ciclo XXV, anno acc. 2012/2013, relatore Andrea Errera, e, della stessa autrice, Per la storia delle leggi suntuarie in Italia nei secoli XV-XVI. Il Tractatus de ornatu mulierum di Orfeo Cancellieri, Milano, Monduzzi, in corso di stampa.
[22] Registro 19, busta 7: 1393 aprile 3, Pavia, in porta Marenga parochie Sancte Thegie, in domibus monesterii Senatoris, Archivio di Stato di Milano, fondo Pergamene, S. Maria del Senatore, cart. 661.
[23] Registro 19, busta 7: cc. 9v-11r: 1389 febbraio 20, hora none. In Viqueria, videlicet in dom(o) mon(esterii) Senatoris. 1389 febbraio 20, hora vesperarum, In Codevila, videlicet in curia domus habitac(ionis) <domus habitac(ionis) nell’interlineo> Rufini et Bonelli fratrum de Guizardis de Montedondono <de Montedondono nello spazio prima del documento, con segno di richiamo e d’inserzione> filiorum condam Iohannis.
[24] Registro 19, busta 7: c. 11r-11v: 1389 febbraio 24, hora mane. In Viqueria, videlicet in domo habitactionis mei Iohannis de Acurso notarii. L’abitazione del notaio si trovava in porta S. Ilario, indicaticamente all’imbocco dell’attuale via Garibaldi provenendo da piazza del Duomo. Nello stesso giorno, cc. 11v-17r: hora octave. In Papia, in porta Marenga parochie Sancte Thegie, videlicet in dom(o) mon(esterii) Senatoris Papie, roga, dempre nell’ora del vespro, ben dodici contratti. Il giorno successivo, giovedì grasso, roga un altro contratto in porta S. Giovanni, in casa di un canonico della chiesa di S. Giovanni in Borgo, all’estremità opposta della città: c. 17r-17v, hora mane. In Papia, in porta Sancti Iohannis parochie ******, videlicet in domo domini magistri Iac(omi) Codechà de Clastigio canonici ecclesie Sancti Iohannis in Burgo de Papia. Da notare, oltre alla solita anomala indicazione inversa della porta e parrocchia di ubicazione del monastero del Senatore, anche lo spazio lasciato in bianco per l’indicazione della parrocchia di residenza del canonico.
[25] Nell’indicazione delle ore del giorno Giovanni de Acurso utilizza, in sequenza: mane, terciarum, meridie, none, octave, vesperarum: alcune volte compaiono anche precisazioni quali parum ante o parum post.
[26] Questa e altre considerazioni necessarie per una corretta lettura e comprensione dell’attività del notaio e del giurista sono state oggetto dell’intervento di Valentina Cozzi nell’ambito dell’incontro dal titolo: Giovanni de Acurso notaio di Voghera. Salvaguardia e recupero di un cimelio. Vita e società nella Voghera del Trecento; tale incontro, avvenuto per iniziativa di chi scrive affiancato dall’allora Direttore Graziano Tonelli, è avvenuto il giorno 8 ottobre 2017 nell’Archivio di Stato di Pavia in occasione delle Giornate di carta del MIBACT, inserito nel programma ufficiale del ministero; sono intervenuti, con il coordinamento della prof. Emanuela Fugazza, chi scrive queste note, che ha fatto un inquadramento della figura e della produzione di Giovanni de Acurso, Valentina Cozzi, con un contributo di cui si è detto, Alice Garusi, che ha parlato in merito alle citazioni del personaggio Giovanni de Acurso nella bibliografia vogherese (anche di questo si sono forniti alcuni elementi in precedenza), Filippo Catanese a proposito dei rapporti con la importante famiglia di notai pavesi degli Oliarii, Natalia Stocchi sui fondi dell’Archivio storico Civico di Voghera e il prof. Daniele Vigo dell’Università Statale di Milano sugli aspetti dell’attività agraria e dell’allevamento che emergono dalla lettura dei Registri.
Temi di ricerca
Attività recente
L’attività scientifica degli ultimi anni ha avuto come momento principale l’elaborazione, insieme con Ettore Cau, del volume Le carte del monastero di S. Pietro in Monte di Serle (1039-1200). Si tratta dell’edizione di 180 documenti bresciani (tutti depositati presso il Fondo Veneto dell’Archivio Segreto Vaticano), completata da un’appendice di ulteriori 6 pezzi di diversa provenienza archivistica, quasi totalmente inediti, conservati nel Fondo Veneto presso l’Archivio Segreto Vaticano.
La trascrizione dei documenti del fondo Veneto è stata preceduta da una campagna di microfilmatura di tutto il materiale documentario bresciano fino alla metà del sec. XIII, campagna condotta negli archivi di Stato di Milano, di Brescia stessa, di Reggio Emilia, oltre che in archivi minori e privati. Alla microfilmatura e alla stampa da microfilm ha fatto seguito la costruzione del Repertorio dei notai bresciani fino al 1250, cui ha partecipato schedando le pergamene del Fondo Veneto dell’Archivio Segreto Vaticano fino alla metà del Duecento. In parallelo ha condotto una ricerca sull’archivio del principale monastero bresciano, S. Giulia, ricostruendo le vicende dei riordinamenti prima della soppressione settecentesca e delle dispersioni di fine Settecento e dell’Ottocento.
Parallelamente a questo progetto di lavoro relativo all’area bresciana e anche a integrazione del Repertorio dei notai bresciani ha impostato un analogo Repertorio dei notai veronesi fino a tutto il sec. XII: la schedatura ha per ora interessato i fondi conservati a Verona (Archivio capitolare e Archivio di Stato), mentre è provvisoriamente rimasto escluso il rilevante complesso di documenti di S. Giorgio in Braida presso l’Archivio Segreto Vaticano. In tal modo è stato possibile identificare notai bresciani i cui documenti sono conservati in archivi veronesi e viceversa.
Il Repertorio di notai veronesi è stato anche utilizzato per ricerche sul notariato nell’Italia padana, a prosecuzione dello studio sul notariato pavese. In particolare, una ricerca sul notariato di Vercelli ha consentito di delineare un quadro meno omogeneo rispetto a quello pavese, piacentino o veronese; sono stati individuati, fra l’altro, professionisti operanti a Vercelli ma provenienti da Milano all’epoca della distruzione di questa città.
L’interesse per le vicende del notariato pavese si è rivolto soprattutto al secolo XIII e in particolare all’età di Federico II, momento cruciale per la storia della corporazione cittadina; tali vicende sono state analizzate in occasione di un intervento a una giornata di studi organizzata a Pavia il 19 maggio 1994.
Infine, si sono saggiate alcune caratteristiche del notariato parmense in età sveva, mediante una schedatura sistematica della documentazione nell’Archivio Diplomatico dell’Archivio di Stato di Parma, confrontandole con la coeva documentazione piacentina, veronese e pavese.
Le caratteristiche del notariato dell’Italia settentrionale nell’età di Federico II sono state inoltre studiate attraverso le significative vicende dei notai, soprattutto tortonesi e comunque dell’area tortonese-pavese, emigrati insieme con altri concittadini in Sicilia verso la metà del Duecento. L’identificazione esatta dei luoghi di provenienza (e quindi degli originari collegi notarili di appartenenza) ha consentito di cogliere con esattezza il mutamento di usi da parte dei notai lombardi nella nuova situazione del notariato meridionale in cui si sono venuti a trovare dopo la migrazione.
Ricerche in corso
Progetto di un panorama sulla documentazione pavese dei secoli XIII e XIV: luoghi di conservazione, consistenza quantitativa e credibilità.
La documentazione pavese del secolo XIII è stata edita in una percentuale minima rispetto al numero di documenti su pergamene sciolte presenti nei fondi che conservano, in Pavia, in Milano e altrove, nuclei di documentazione proveniente da antichi archivi della città. In percentuale ancora minore sono state edite le imbreviature pavesi del Duecento. Un’edizione critica di tale documentazione è per ora inattuabile. Ancor più impenetrata e sconosciuta è la situazione dei documenti del Trecento, sia su pergamene sciolte sia su registri di imbreviature. Nessuno di questi documenti è praticamente mai stato edito, se si eccettuano pochissime unità. In tale situazione è parso opportuno riprendere e ampliare il progetto di un Repertorio dei notai pavesi fino a tutto il secolo XII attuato da Ezio Barbieri e da Ettore Cau negli anni 1981-1982 in vista dell’edizione de Le carte del monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (1165-1190), Repertorio progettato e messo in opera appunto per risolvere i molti problemi di edizione dei documenti del monastero pavese.
Il passaggio dall’analogico al digitale nelle riproduzioni di pergamene, oltre al sempre più raffinato ed efficace ausilio del supporto informatico, permette di andare ben oltre l’originario, ambizioso, progetto degli anni ’70 e dei primi anni ’80. Soprattutto, dopo che sono state esplorate le vicende del notariato pavese del Duecento e che sono state trascritte le imbreviature dello stesso periodo, le quali, in corso di revisione, verranno progressivamente messe on line e, infine, che si è approntato un topografico e una schedatura dei notai pavesi del Duecento, che verranno anch’essi ben presto pubblicati on line, diventa ineludibile una ricognizione accurata della documentazione del Trecento, per quanto concerne sia le pergamene sciolte sia i registri notarili.
Rispetto ai dati che sono stati raccolti per il XII e XIII secolo, il materiale documentario (soprattutto per quanto concerne le pergamene sciolte) fornisce una messe di notizie incomparabilmente superiore. Oltre al fatto che i notai, rispetto al secolo XII, indicano nelle proprie sottoscrizioni il cognome in modo sistematico (ma questo già accadeva nel corso del Duecento) dobbiamo sottolineare come in modo occasionale compaia il nome del padre, spesso anch’egli notaio, di cui il figlio eredita i registri di imbreviature, da cui ricava ulteriori originali. Possiamo così ricomporre sia i legami di discendenza diretta, sia i rapporti professionali, dettati forse, almeno in molti casi, da legami di parentela collaterale. La schedatura dei singoli notai deve comunque essere preceduta da un inventario topografico dettagliato di tutte le pergamene pavesi dei secoli che qui ci interessano. Se esso è già presente per il Duecento (e la compilazione è stata di molto facilitata dalla presenza di riproduzioni fotografiche su microfilm e dalle stampe dei microfilm), occorre invece per il Trecento tornare in archivio e redigere l’elenco completo delle pergamene direttamente sugli originali.
Fields of research
Notaries and notarial records in
Recent activities
In recent years, his scientific activity has been dedicated to the publication and editing, in collaboration with Ettore Cau, of the volume Le carte
The transcription of the records from the Fondo Veneto was preceded by a campaign of microfilming of all the documentary material dating until the XIII century. This campaign was conducted in the State Archives in
In addition, he has conducted a similar research about the notaries from
The Repertorio di notai veronesi has also been an important tool for the research on the Notaries operating around the Italian territory known as “Italia Padana”, in order to continue the study on the notaries from
The interest in the events of the notaries operating in
Finally, Barbieri also analized some distinctive features regarding the notaries operating in Parma, during the Swabian period, through a systematic description and cataloguing of the documents which are part of the Archivio Diplomatico, held by the State Archives in Parma, which included a comparison between them and the coeval documentation from Piacenza, Verona and Pavia.
The features of the notaries operating in
Ongoing research
An Overview on the Records from
Not many of the records from
Even fewer are the XII century imbreviature from
Therefore, it seemed necessary to work again on the Repertorio dei notai pavesi fino a tutto il secolo XII (cited above), in order to complete the volume Le carte del monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia (1165-1190), Repertorio.
The use of information technology in the processes of digitization, is undoubtedly an advantage for the project, which was not possible in the ‘70s and ‘80s. Further favourable steps have been taken with the transcription of notarial documents from
To take a look at the great quantity of details of notarial uses and practices, in the XIV century notaries always signed their documents (this also happened in the XIII century), and also added the names of their fathers (usually notaries as well). Such practice allows us to discover familiar and professional relationships. However, the description of such records needs a preliminary indexing of all the places which store these documentary materials, as well as the complete indexing of all the parchments.
Il tema di ricerca che verrà anche approfondito è quello dei registri e delle filze notarili dal Duecento al Quatrocento. Oltre alla docuimentazione inedita relativa agli ebrei nell'Italia settenttrionale soprattutto del secolo XIV, ci si concentra ora soprattutto sui ventuno registri notarili del notaio vogherese Giovanni de Acurso, attivo per ben 65 anni dal 1341 al 1406 conservati nel Fondo Notarile di Voghera presso l'Archivio di Stato di Pavia. Di questo notaio si conoscevano finora meno di cinquanta pergamene: i suoi registri (19 Note breviariorum e 2 Breviaria) ci tramandano più di millecinquecento atti, in molti casi in serie continua per più anni consecutivi. Lo studio sotto tutti gli aspetti (trascrizione, analisi codicologica, qualità della carta e individuazione di eventuali filigrane, aspetti linguistici, elementi di topografia di Voghera e dell'Oltrepò integrati con riferimenti alla cartografia antica, confronto con le miniature coeve nei codici) avverrà con la collaborazione di numerosi esperti specializzati nelle differenti competenze necessarie.
L'estrema ricchezza di documenti offerta dai registri notarili di Giovanni de Acurso lo ha ingiustamente ridotto, nelle citazioni a lui dedicate nella Storia di Voghera del 1995 e nel libro di Laura de Angelis Cappabianca del 2004, a una ricchiassima miniera di notizie: al contrario una lettura complessiva della figura di Giovanni de Acurso come notaio, ma anche come giurista arrivo partecipe della redazione degli Statuti del borgo a fine Trecento, permetterà di leggere in filigrana le alterne vicende del centro dell'Oltrepò e del suo territorio secondo una metodologia ancora non sperimentata.
In occasione delle "Domeniche di carta" del MIBACT verrà arganizzata una mostra-mattinata di studi presso l'Archivio di Stato di Pavia domenica 8 ottobre 2017 incentrata sui registri del notaio Giovanni de Acurso di Voghera, con l'esposizione e la presentazione dei Registri, il confronto e l'integrazione con diverse tipologie di registri e con la cartografia storica conservati nell'Archivio Comunale di Voghera (presentati dalla Direttrice dell'Archivio di Voghera dott. Natalia Stocchi) e con altri interventi. E' prevista per la primavera 2018 (probabilmente in aprile) un evento con ulteriori approfondimenti di altri studiosi in Voghera.
Edizione dei protocolli notarili pavesi dei secoli XIII e XIV conservati negli archivi di Stato di Milano e di Pavia.
Repertorio dei notai pavesi dei secoli XIII e XIV: schedatura sistematica di tutta la documentzione notarile sopravvissuta prodotta a Pavia nel secoli XII e XIV organizzata per notai rogatari.
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